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«Al campo profughi di Samos diritti umani violati e annientati»

La piacentina Nicoletta Novara, a lungo impegnata sull’isola di Samos (Grecia) in una scuola per ragazzi del campo profughi, ha raccolto nel libro “Attraverso i nostri occhi” i reportage dei suoi giovani studenti di fotografia

«Siamo vittime di una colpa che non dovrebbe essere nostra», scrive Omid, fotografando una distesa di tende nell’isola di Samos. In questi anni sono stati diversi – ma non tantissimi – i reportage sui campi profughi europei. Stavolta a raccontare la vita “da dentro” sono i suoi giovanissimi ospiti. “Still I Rise”, l’organizzazione indipendente nata per offrire istruzione, protezione e dignità ai bambini dimenticati del mondo, ha dato alle stampe “Attraverso i nostri occhi”. C’è il 27enne cremonese Nicolò Govoni dietro questa testimonianza, ma anche la giornalista piacentina Nicoletta Novara, da due anni impegnata con “Still I Rise”, che ha realizzato la scuola nei pressi dell’hotspot di Samos, in Grecia.

Qua vivono 7mila persone (soprattutto siriani) in una struttura costruita per 650. Mancano bagni, vestiti, medici. Le famiglie vivono nelle tende per anni e la metà degli ospiti sono donne e bambini. In questo luogo privo di speranza è stata aperta una scuola nel 2018, denominata “Mazì”, che in greco significa “insieme”. È una struttura per bambini e adolescenti profughi dell’isola. In due anni 2mila minori sono passati di qui, sono state distribuite 20mila colazioni e pranzi ed effettuate 15mila ore di lezione grazie ai fondi raccolti dall’associazione spinta da Govoni, da anni impegnato su questo fronte.

Nei mesi scorsi uno dei roghi scoppiati nel campo profughi ha trasformato la scuola in un rifugio per 250 persone che avevano perso tutto. Nicoletta Novara, a lungo cronista piacentina, in questi due anni ha dato lezioni di fotografia ai ragazzi. «Quando sono arrivata a Mazì – spiega la piacentina - con la mia macchina fotografica ho pensato che un laboratorio fotografico sarebbe stato una buona opportunità, per gli studenti del centro. Ho insegnato a loro come utilizzare una macchina professionale e alla fine ho consegnato loro delle macchinette “usa e getta”. Per loro una sola raccomandazione: fotografare ciò che aveva un significato e che avrebbe raccontato la loro vita sull’isola di Samos».

Il risultato? «Le fotografie sono tornate indietro come un pugno nello stomaco – commenta Novara - per questo volevamo condividere questo progetto con quante più persone possibile per far conoscere la verità su quanto accade all’interno dei campi profughi». A Samos i diritti umani sono costantemente violati.

Dalle foto scattate dai ragazzi (che hanno tra 11 e 17 anni) è prima nata la mostra itinerante “Attraverso i nostri occhi”, che si è sviluppata in una quarantina di città europee. Gli scatti dei ragazzi colpiscono a tal punto che ora è diventato un libro, utile per sostenere la prosecuzione delle attività del sodalizio. In questi due anni sono nel frattempo nate altre scuole sulla scia di Mazì, stavolta in Turchia, Siria e Kenya. Il libro, edito da Rizzoli, sosterrà “Ma’an” (che significa sempre “insieme”, stavolta in arabo) in Siria. La pubblicazione si apre con una favola scritta da Nicolò Govoni, che narra una storia toccante di amicizia, integrazione e sopravvivenza nella cornice dell’hotspot di Samos. Prosegue con le lettere di Nicoletta Novara a introdurre le due sezioni pre e post pandemia, per poi arrivare al cuore pulsante del progetto: le fotografie dei bambini e ragazzi profughi sull’isola, che raccontano una quotidianità divisa tra gli orrori di un campo profughi disumano e lo splendido stupore nella scoperta della cultura europea, in cui si immerge la loro speranza di un domani migliore.

Gli stessi ragazzi accompagnano le foto contenute nel libro con una didascalia. «In queste foto – rileva ancora Novara - c’è un orrore che non avremmo mai più voluto vedere ma che ancora in troppi sono costretti a vivere».

Il reportage dei giovanissimi fotografi, a tutti gli effetti, vale più di qualsiasi editoriale di un giornale o intervento politico. È la cruda realtà, senza filtri, fatta di code per un piatto di patate scotte o per riempire le taniche d’acqua, sporcizia ovunque, malattie, sovraffollamento.

Racconta anche le piccole gioie del campo – perché i giovani fotografi non sono rassegnati, anzi, tutt’altro - che possono essere individuate in una canzone, nel vedere la pace del mare - in contrasto con quello che succede all’interno del campo -, in un gatto che dovrebbe prendere dei topi che sono più grandi e feroci di lui, o nell’attracco di una barca al porto, sperando che un giorno porti via anche loro dall’isola.

I ragazzi affidano alle foto e alle didascalie i propri sogni e le proprie speranze. Nella scuola vedono un ponte verso il raggiungimento dei loro obiettivi: c’è chi vuole diventare medico, psicologo, avvocato (per difendere le ragazzine afgane costrette a sposarsi a 11 anni) o insegnante, proprio seguendo l’esempio di Nicoletta, Nicolò e degli altri “angeli” di Mazì. «A Mazí abbiamo usato la fotografia per restituire loro la prima persona singolare. Non volevamo che qualcun altro parlasse per loro, ma abbiamo cercato di comprendere meglio, attraverso i loro occhi, la condizione di rifugiato», racconta proprio Novara, ora project coordinator nella scuola di Gaziantep in Turchia. «L’hotspot di Samos sembra lavorare sul filo sottile dell’annientamento umano, piuttosto che sul fronte dell’accoglienza. I nostri studenti combattono ogni giorno una battaglia personale di resistenza contro un sistema che non li percepisce come esseri umani in una condizione di fragilità quanto piuttosto come una entità scomoda e non degna di far parte della società civile».


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