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«Dunque il Po comincia a Piacenza, e fa benissimo»

Il Grande Fiume e Giovannino Guareschi, un legame indissolubile. Nel cinquantesimo della sua scomparsa lo scrittore bassaiolo è stato ricordato in tanti modi nella sua terra. Nel “Mondo piccolo” il fiume Po raccontato “nasce” e parte da Piacenza

Giovannino Guareschi

Ricorrono quest’anno i cinquant’anni dalla scomparsa di Giovannino Guareschi, lo scrittore della Bassa, letto e tradotto in tutto il Mondo. Diverse le iniziative in Emilia-Romagna che lo hanno ricordato: un plauso alla Regione per aver valorizzato un autore in passato dimenticato dalle istituzioni politiche e letterarie. Su IlPiacenza.it vogliamo ricordarlo riportando a galla il suo legame con il fiume Po nei racconti del “Mondo piccolo”, quelli che hanno per protagonisti Peppone e don Camillo.

GUARESCHI E IL FIUME PO

Il Po, il fiume più lungo (652 chilometri) e importante d’Italia, è infatti teatro delle storie di Peppone e don Camillo. Il Grande Fiume che è soprattutto legato alla Bassa, alla pianura padana: un fiume che per l’autore emiliano nasce a Piacenza, e non dalla sorgente del Monviso sulle Alpi Cozie del Piemonte. L’ambiente è un pezzo della pianura padana: e qui bisogna precisare che, per me, il Po comincia a Piacenza. Il fatto che da Piacenza in su sia sempre lo stesso fiume, non significa niente: anche la via Emilia, da Piacenza a Milano, è in fondo la stessa strada; però la via Emilia è quella che va da Piacenza a Rimini. Non si può fare un paragone tra un fiume e una strada perché le strade appartengono alla storia e i fiumi alla geografia[1].

Guareschi segna subito i suoi confini del Po, presi in considerazione per le sue opere. E con il Po che nasce a Piacenza, prendono vita anche le avventure di «Mondo piccolo». Avventure che mai sfociano nel mare: il teatro delle gesta di don Camillo e Peppone, dei clericali e dei comunisti, dei proprietari e dei contadini, finisce molti chilometri prima e conosce solo l’acqua dolce. Dunque il Po comincia a Piacenza, e fa benissimo perché è l’unico fiume rispettabile che esista in Italia: e i fiumi che si rispettano si sviluppano in pianura, perché l’acqua è roba fatta per rimanere orizzontale, e soltanto quando è perfettamente orizzontale l’acqua conserva tutta la sua naturale dignità. Le cascate del Niagara sono fenomeni da baraccone, come gli uomini che camminano sulle mani. Il Po comincia a Piacenza, e a Piacenza comincia anche il Mondo piccolo delle mie storie, il quale Mondo piccolo è situato in quella fetta di pianura che sta fra il Po e l’Appennino[2].

Ai navigatori che vogliono approdare nelle zone del Mondo Piccolo, occorre salpare da un argine del Po, ascoltare i gorghi del fiume e il suo rigonfiarsi nei giorni di pioggia. Già dalla prefazione al Mondo piccolo il grande fiume acquista un ruolo preminente: «Nel fiume pescoso guizzano barbi, tinche, lucci voraci, argentei corpi, squisiti persici dalle pinne rosse, lubriche anguille e grossi storioni, che, talor tormentati da piccole lamprede, risalgono il fiume, del peso qualche volta di centocinquanta e più chilogrammi ciascuno[3].

«Sulla spiaggia del fiume giacciono i resti della villa di Stagno, un dì molto distesa, or pressoché tutta inghiottita dalle onde: nel canto ove il Comune tocca Stirone vicino al Taro, sorge la villa di Fontanello, aprica e sparta. Là dove la strada provinciale s’incrocicchia coll’argine del Po, sta il casale di Ragazzola: verso mattina, dove il suolo più si abbassa, è il piccolo villaggio della Fossa; e la romita villicciuola di Rigosa sta, umile e incantucciata, tra gàtteri, pioppi ed altre piante poco lontano dal luogo dove il rivo Rigosa mette in Taro. Fra queste ville vedi Roccabianca»[4].

Era d’autunno e il fiume si era gonfiato e scorreva giallo di fango; una notte l’argine si ruppe e l’acqua corse per i campi e allagò tutta la parte bassa del podere e il campo di trifoglio e la strada diventarono un lago[5].

Il fiume forgia il carattere dei suoi abitanti, a partire dall’autore. È una zona d’Italia particolare, dove avvengono fatti strani, soprattutto legati alla passione politica. Eventi, storie, accaduti, parabole personali che possono essere solo di questi territori.

«E che due nemici si trovino, alla fine, d’accordo nelle cose essenziali. Perché è l’ampio, eterno respiro del fiume che pulisce l’aria. Del fiume placido e maestoso, sull’argine del quale, verso sera, passa rapida la Morte in bicicletta. O passi tu sull’argine di notte, e ti fermi, e ti metti a sedere e guardi dentro un piccolo cimitero che è lì, sotto l’argine»[6].

Uno adesso dice: fratello, perché mi racconti queste storie? Perché sì, rispondo io. Perché bisogna rendersi conto che, in quella fettaccia di terra tra il fiume e il monte, possono succedere cose che da altre parti non succedono. Cose che non stonano mai col paesaggio. E là tira un’aria speciale che va bene per i vivi e per i morti, e là hanno un’anima anche i cani[7].

Gli è che, nei borghi solitari sperduti lungo la riva del fiume grande, la vita ha un suo ritmo preciso di cui è nota a ognuno la esatta misura e ognuno avverte istintivamente quando quel ritmo risulti turbato dall’intervento di un fatto inconsueto[8].

 

Il Mondo piccolo intorno al fiume è terra di forti passioni ed esasperazioni: lo scrittore insiste sulla correlazione tra queste tensioni e lo scorrere dell’acqua. Quasi che il fiume segni sulla cartina italiana quest’area ricca di avvenimenti politici, scontri, polemiche e rappresaglie del dopoguerra.

…sapevano che là, in quella fettaccia di terra grassa spaparanzata lungo la riva destra del grande fiume, c’è gente che si scalda facilmente[1].

Questa è una delle solite storie di paese e per capirla bene bisognerebbe abitare un po’ nelle case basse della piana lungo il fiume, sentire sul cervello il sole di luglio, veder spuntare, qualche sera d’agosto, la luna enorme e rossa dietro l’argine. Tutto pare immobile, nella piana della Bassa, e uno ha l’idea che non succeda mai niente lungo quegli argini deserti, e che non possa succedere niente dentro quelle case rosse o blu dalle finestre piccole. Invece succedono più cose che al monte e nelle città perché quel sole dannato va dentro nel sangue della gente. E quella luna rossa e smisurata non è la solita luna gelida degli altri posti, ma scotta anch’essa e, la notte, scalda il cervello dei vivi e le ossa dei morti. E, d’inverno, quando il freddo e la nebbia premono sulla gente non ha il cervello sufficientemente fresco per ripensare alle cose fatte durante l’estate e così, ogni tanto, una doppietta sputa fuoco da dietro una siepe, o una ragazza fa quel che non dovrebbe fare[2].

La sera del secondo giorno, mentre don Camillo tornava in bicicletta dal paese vicino, cinque diavolacci saltarono su dall’argine e, senza che si sentisse un sette, gli insaccarono la testa in un tabarro e poi gli diedero un temporale di legnate da lasciarlo lungo disteso sull’argine con la testa piena di nebbia[3].

Peppone lo conoscevano tutti, lungo il fiume, e sapevano che nessuno sarebbe mai riuscito a fargli cambiare idea[4].

Un fiume che è il centro della vita dei paesi, nel bene e nel male. Il Po dà tanto agli abitanti della bassa padana: l’acqua viene convogliata per dissetare i campi. Gli agricoltori benedicono l’acqua del fiume che permette ai poderi di essere rigogliosi. Questa è una delle zone più fertili d’Italia, con una variegata varietà di colture. Ma il fiume sa anche togliere il sonno a chi abita lungo il suo corso.

Ma, un brutto giorno, il fiume grosso s’incapricciò del podere che costituiva il beneficio e che, disgraziatamente, faceva parte della fertile fascia di terra tra il fiume e l’argine.  Piacciono, al fiume grosso, questi scherzi: per mille anni lambisce una terra senza che niente succeda ed ecco che, d’improvviso, l’acqua incomincia a rosicchiare la sponda e, un boccone dopo l’altro, si mangia tutto[5].

L’acqua fa paura: toglie terreno, esonda dagli argini, invade territori non suoi e distrugge anche ciò che l’uomo ha costruito nei dintorni. La devastante alluvione del 1951 nel Polesine lungo tutti gli argini del Po ispirerà alcuni racconti di don Camillo. Il triste evento rappresenterà una ferita profonda nel suo cuore di scrittore[6].

Il grande fiume aveva incominciato a fare il cattivo e, quando il grande fiume si sveglia, non si può mai dire come andrà a finire. E andò a finir male perché il fiume combinò uno dei suoi famosi scherzi. Sfondò l’arginello in un certo punto delle Ghiare ed entrò a dare una passatina alla terra del fu Minta. Non fece gran danno: difatti, visto che tutto andava bene, si ritirò subito. Ma non abbandonò tutta la terra. Il grande fiume aveva sfondato l’argine che difendeva la fetta di terra della Casa Rossa e si prese la fetta di terra della Casa Rossa. Il grande fiume, ogni tanto, combina queste bizzarrie: toglie terra da una parte, per donarla a un’altra parte. Impoverisce Tizio, per arricchire Caio o Sempronio. Il fiume scavò profondo nella fetta di terra della Casa Rossa e si portò via tutto[7].

Il paese era completamente isolato: tagliati i fili, tagliati i ponti, assediato da fiumi in piena che premevano contro tutti gli argini e con acqua che continuava a venir giù a torrenti dalle nuvole[8].

…quando venne la piena, la casa si sciolse dentro l’acqua. E quando l’acqua si ritirò, dell’edificio era rimasto soltanto un mucchietto di mattoni coperti di fanghiglia[9].

L’acqua incominciò a invadere il primo podere oltre la Strada Nuova, poi il secondo e via discorrendo[10].

Girando per la Bassa, si possono vedere delle lapidi sui muri delle case, con segnata una riga e un’altezza indicata in metri. «Qui» dicono «arrivò l’acqua durante l’alluvione del 1951». Non è difficile evocare i paesi, le strade, i campi sommersi. I casali ridotti a isole in mezzo a un mare di acqua e di fango. Immagini in bianco e nero consegnate alla memoria dei filmati dell’epoca. Difficili da passare col colore del racconto. Eppure Guareschi - come fa notare Alessandro Gnocchi - riuscì a tracciare almeno una riga di rosso in quegli orizzonti bassi e opprimenti. Fece balenare un sole che comunque riesce sempre a sorgere[11]. Gli uomini del Mondo piccolo si affidano a Dio, alla Fede[12], alla speranza: non vogliono essere spazzati via insieme alle loro cose.

 

[1] Ibidem, p. 2195 (da Don Camillo e i giovani d’oggi, apparso nel 1966)

[2] Ibidem, p. 379 (da Don Camillo e il suo gregge, 1953)

[3] Ibidem, p. 200 (da Don Camillo, 1948)

[4] Ibidem, p. 1749 (da Ciao, don Camillo, apparso nel 1957)

[5] Ibidem, p. 1317 (da Gente così, apparso nel 1953)

[6] G. CONTI, “Giovannino Guareschi biografia di uno scrittore”, Milano, Rizzoli, 2008, p. 413

[7] G. GUARESCHI, Tutto don Camillo. Mondo piccolo, 3 vol., Milano, Rizzoli, 1998, p. 1664 (da Il decimo clandestino, apparso nel 1956)

[8] Ibidem, p. 440 (da Mondo Candido 1948-1951)

[9] Ibidem, p. 1318 (da Gente così, apparso nel 1953)

[10] Ibidem, p. 1193 (da Gente così, apparso nel 1953)

[11] A. GNOCCHI, Giovannino Guareschi una storia italiana, Milano, Rizzoli, 1998, p. 214

[12] Don Andrea Maggiali, sulla “Gazzetta di Parma” del 18 novembre 1994, ha ricordato quell’alluvione: «Don Bernini, arciprete alluvionato di Mezzano Inferiore (Pr) si trovò allagata, quasi improvvisamente, la canonica e la chiesa (…). Resosi conto del pericolo, raggiunto a stento l’altare, prese il Santissimo, salì sul campanile e, inginocchiato davanti al suo Signore, pregava notte e giorno per i suoi parrocchiani. Di lassù guardava la campagna allagata, pregava e piangeva. Poi, per invocare soccorso per le famiglie maggiormente in pericolo, soprattutto quando tutti gli uomini, disperati, abbandonavano gli argini, suonava le campane a distesa (…) 2Ma lei, arciprete – gli chiesero – dove ha trovato sostegno in quei giorni terribili, in quelle notte paurose?”. “Nel Signore, nell’Eucarestia, nella Vergine Santa. Mi lasciavo riscaldare dal Sole divino!”». Il 3 gennaio 1997 lo stesso don Maggiali, in una lettera al direttore della Gazzetta di Parma Baldassarre Molossi, scrive: «Che don Bernini, prete in carne e ossa, autentico Santo (…) sia stato preso a modello per realizzare alcuni aspetti della personalità di don Camillo, è per me commovente.

PROSEGUE

[1] G. GUARESCHI, Tutto don Camillo. Mondo piccolo, 3 vol., Milano, Rizzoli, 1998, p. V (da Don Camillo, 1948)

[2] Ibidem, p. VI (da Don Camillo, 1948)

[3] Ibidem, p. VII (da Don Camillo, 1948)

[4] Ibidem, p. VII (da Don Camillo, 1948)

[5] Ibidem, p. XVI (da Don Camillo, 1948)

[6] Ibidem, p. XXI (da Don Camillo, 1948)

[7] Ibidem, p. XXI (da Don Camillo, 1948)

[8] Ibidem, p. 1441 (da Lo spumarino pallido, apparso nel 1953)


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