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«La montagna deve essere vista come "periferia di Piacenza" e aiutata»

Appennino resistente: la giornalista Maria Vittoria Gazzola è molto legata a Bramaiano di Bettola. «Troppa distanza culturale tra le realtà del nostro territorio, bisogna lavorare tutti insieme per dare un futuro alle nostre aree più spopolate»

Maria Vittoria Gazzola

Ha girato il mondo – e l’Africa è il Continente alla quale è più affezionata -, ma il suo luogo del cuore è Bramaiano di Bettola. La giornalista Maria Vittoria Gazzola, volto notissimo ai piacentini per la sua lunga esperienza televisiva a Telelibertà, è molto legata al suo “buen retiro” valnurese: dal 2006 vive in estate e nei fine settimana a Bramaiano, piccolissimo centro dell’Appennino. «Ho affittato una casa di proprietà della parrocchia - racconta - ma già dal 1983 al 1999 ho frequentato Spongiola di Roncovero. Questa zona mi è sempre rimasta nel cuore, per due anni, dal ’58 al ’60 avevo abitato a Biana di Pontedellolio. Pur venendo dal basso lodigiano – anche se con una mamma di Ziano – ho sempre preferito la collina e la montagna alla Bassa del Po». Così, tramite amici, il primo approdo «di verde, di azzurro di cielo e d’acqua» di Spongiola. «Mi mancava troppa questa vallata, le sue montagne, perfino i sassi del Nure. Sono dovuta tornare». Stavolta a Bramaiano.

A Maria Vittoria chiediamo di raccontare la sua esperienza valnurese. «Mi sono integrata molto bene, mi sono sentita accolta, dai residenti e da quelli che hanno la seconda casa come me. Mi sento come se li conoscessi da sempre e quando non ho voglia di cucinare ho le prelibatezze della signora Delfina – che gestisce un’osteria nel paese - a 100 metri da casa». La giornalista si è inserita anche nel consiglio parrocchiale ed è diventata una collaboratrice della locale Pro loco. «Anche un’altra coppia, oltre a me, da qualche anno si è trasferita dalla città a Bramaiano. Qua c’è un mondo solidale, in parte credo grazie al parroco don Davide Maloberti. Ho sperimentato la vicinanza di tutti quando, durante una sagra, mi sono infortunata e sono stata soccorsa e aiutata con molta attenzione».

Perché ha scelto proprio Bramaiano? «È comodo, sono in montagna ma rimango collegata con il mondo. Al mattino apro le finestre di casa e vedo le montagne, i boschi e il Nure. A tre km c’è il capoluogo Bettola dove faccio spesa, c’è la piscina, volendo potrei anche andare a cavallo. Qua ci sono amici, villeggianti, bettolesi di ritorno, persone con cui intrattengo relazioni d’amicizia in estate. Il telefono e internet funzionano e insieme ad altri ho pure organizzato una rassegna letteraria».

CHE FINE HA FATTO L’EX PREVENTORIO?

A Bramaiano giace abbandonato da anni l’ex preventorio. «Volevo quasi comprarlo io, poi l’ha fatto una società pavese. Vorrei proprio contattarli per sapere che ne faranno di quella struttura, oggi ci vuole molta fantasia per recuperarlo, anche se il posto rimane stupendo». Forse potrebbe diventare una struttura per il turismo? «All’estero ci sono molte “stazioni di relax” in ambienti agresti, in mezzo ai boschi. Il preventorio sarebbe l’ideale per un’operazione del genere, il bosco intorno ce l’ha». Poco distante, a Roncovero, c’è anche l’ex istituto “San Luigi”. «Bettola – ricorda la giornalista - ha questi retaggi di un’epoca durante la quale si erano sviluppati dei centri di salute per i bambini poveri, poco abbienti, sanitari. I bambini venivano spediti qua da Piacenza, avevano problemi di salute, dovevano respirare l’aria pulita. Sono belle costruzioni, solide, purtroppo abbandonate alla mercé del tempo».

 

«UN TEMPO SI FATICAVA PERFINO AD AMMETTERE LO SPOPOLAMENTO»

L’Appennino esisterà ancora tra vent’anni? «Le previsioni a volte ci prendono e a volte no. Adesso viviamo un’epoca di grandissimi cambiamenti politici e culturali. Alcuni decenni fa chi parlava di spopolamento di ampie fette del Piacentino veniva giudicato come “Cassandra”. Ora si è tutti consapevoli del dramma, ma non si sta facendo ancora nulla per risolverlo. O meglio, la soluzione non può essere l’elargizione di contributi per fare troppi agriturismi».

I villeggianti hanno smesso di frequentare l’Alta Valnure. «Ce n’erano molti dal milanese dalle nostre parti, come in Valtidone, che ovviamente è più vicina alla Lombardia. Non si può vivere di solo turismo – che andrebbe comunque potenziato -, ma offrire servizi in più a chi intende abitare qui». Le priorità? «Sicuramente le strade da mantenere in buone condizioni e i servizi alle famiglie. Se hai le strade e non hai una scuola, il medico di famiglia, il supermercato, queste vengono usano per andare a vivere altrove. Se ci sono strade e i servizi minimi, le famiglie possono rimanere tranquillamente se hanno un lavoro».

CITTA’ E MONTAGNA NON SI PARLANO PIU’

Oltre a Bramaiano ci sono altri luoghi che meritano di essere visitati in questa vallata? «Come paesino mi piace molto Pertuso di Ferriere. Come luoghi, sicuramente i laghi dell’Alta Valnure». Aree che la giornalista giudica però lontane culturalmente dalla città. «Piacenza è molto vicina alla montagna, come le città di Bergamo, Brescia e Como. In quaranta minuti d’auto sei a oltre 600 metri, ma la nostra città è lontana culturalmente da queste zone. Dovrebbe essere più attenta ai problemi del vivere in montagna. Chi fa politica su larga scala non è interessato, si sono dimenticati che non può esistere una “città” se non c’è anche una montagna che si sostiene. Ecco, la città si è dimenticata di essere un punto di riferimento per le vallate, non c’è una visione e uno sviluppo comune, una riflessione unitaria». Ognuno per sé, con i comuni della pianura disinteressati a ciò che succede a monte. Gazzola prova a fare qualche proposta. «Perché non rivalutare alcuni antichi mestieri? E il telelavoro di cui tanto si era parlato all'inizio del nuovo millennio, che fine ha fatto?».

«Tanti piacentini – prosegue nella sua riflessione - hanno una seconda casa sulle nostre montagne, ma la vivono “solo” come seconda casa. Eh no, lo dovete “vivere” e “sentire” quel territorio, bisogna interessarsi a quello che succede, al suo futuro. La montagna è un valore, bisogna partorire idee per garantire una continuità». «Per valorizzare la collina e la montagna è necessaria una visione ampia economico-cultura-sociale del territorio. Collina e montagna sono grandi periferie del capoluogo di provincia o della pianura. I sindaci dovrebbero lavorare insieme sui grandi temi, come sanità, istruzione, turismo, produttività e lavoro. Individuare dei poli principali e creare succursali, aree vocate sulle quali diversificare le fonti produttive. Non un’autarchia territoriale, anzi, ma una integrazione, per offrire spazi di vita e motivazioni anche in luoghi spopolati».

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