Attualità

«Pensionati, tornate a vivere sui vostri monti»

Da Milano il pensionato Domenico Sordi ha fatto ritorno al suo paese d’origine: Vaio di Centenaro, nel comune di Ferriere. L’importanza dell’emigrazione di ritorno: «Ci sentiamo meno soli in un paese di venti abitanti che non in città»

Domenico Sordi e alle spalle il "suo" paese: Vaio di Centenaro. Sotto, con la moglie Elisabetta

Una vita di duro lavoro merita una pensione come si deve. È quello che ha pensato Domenico Sordi, che diversi anni fa ha lasciato Milano per fare ritorno al suo paese d’origine – Vaio di Centenaro, nel comune di Ferriere – insieme alla moglie Elisabetta. Oggi ha 74 anni e di quella scelta non si è mai pentito. Anzi, qua dice di “godersi” la vita. In un’Italia che vede intensificare il fenomeno dell’emigrazione all’estero dei pensionati – meta preferita, il Portogallo, per pagare una tassazione “figurativa” e risibile – c’è anche chi ha scelto di ripercorrere al contrario il proprio percorso migratorio, tornando al paese d’origine. Si sa, l’Alta Valnure ha visto partire dagli anni ’50 a oggi tanti figli della sua terra: in Francia, nel milanese, nel genovese e, ovviamente, nel Piacentino, avvicinandosi alla città.

«A Vaio – ci apre le porte di casa sua Domenico per raccontare la sua storia - ho trovato un luogo ideale per stare, dopo una vita in cui sono andato a letto presto per alzarmi alle 4». Nel 2004, con un anno di pensione, ha deciso di tornare nel ferrierese, dopo aver fatto l’ambulante sui mercati. La sua casa di Vaio era la sede di qualche fine settimana e delle vacanze estive. È poi diventata la sua residenza». Ha condiviso la scelta moglie Elisabetta, detta “Liala”, cremonese d’origine conosciuta a Milano: hanno venduto di comune accordo l’abitazione meneghina e scelto di diventare valnuresi a tutti gli effetti. «La mia vita si divide in due – scandisce bene Domenico - questa scelta è stato uno “tzunami”, uno spartiacque che ha portato però solo aspetti positivi». Ma non solo, perché anche i figli Bruno e Daniele hanno preso la medesima decisione.

«PERCHE’ NON SIAMO VENUTI PRIMA?»

La riconoscenza e l’affetto per il capoluogo lombardo c’è sempre. «Non ce l’ho con Milano, anzi. Se sento “parlare male” di Milano mi arrabbio, è come toccarmi la mamma. È la città più accogliente d’Italia, ad esempio non ho mai visto in giro un cartello contro i meridionali come invece esibivano un tempo a Torino». Però nella “capitale morale del Paese” Domenico ha soprattutto lavorato e si è dedicato poco ad hobby e passioni. Così è scattata l’idea di vivere a Centenaro, tutto l’anno. Sradicare una famiglia da Milano per portarla in un paese da neanche venti abitanti, è una follia? «Erano tutti d’accordo, anche i figli. Che hanno trovato lavoro in Valnure. Ora se ci fermiamo a pensare, sarebbe per noi impossibile abitare in città. Ci siamo detti: “perché non siamo venuti prima?”. Col senno del poi avrei affittato ad altri la mia licenza di ambulante un paio d’anni prima della pensione».

 

«UNA VITA PIENA ANCHE IN MONTAGNA»

Cosa si “guadagna” a vivere qui? «Tutto! – esclama il 74enne -. Guadagni le persone, la loro conoscenza e frequentazione, aspetto che purtroppo è difficile in qualsiasi condominio di una grande città. Le relazioni che si vivono qui sono “allargate”, mi colpisce ad esempio la vicinanza di una comunità al lutto che colpisce una famiglia. Sono cose che fanno pensare». Chi dice che in montagna non c’è niente da fare, sbaglia. «A Milano non facevo nulla, oltre a lavorare. Abitando a Vaio, in questi anni, ho partecipato a quasi tutte le attività del territorio. Ho fatto parte del coro “Le Ferriere” (le prove al venerdì sera e poi i concerti in giro), ho cantato anche nel gruppo del Cantamaggio, ho fatto il volontario della “Croce Azzurra”, la palestra due giorni a settimana, la scuola di ballo. Sono stato volontario per la Pro loco di Centenaro. Grazie alla biblioteca del capoluogo mi assicuro un po’ di letture. Chi ha cani ha tutto lo spazio per girare e giocare. La messa è un momento di ritrovo della comunità. Non ho mancato mai alle gite parrocchiali, e c’è sempre qualcuno con cui uscire a mangiare. Qua ho saldato amicizie vere, non superficiali». Insomma, una vita piena. Lontana dal cliché del montanaro che non sa come riempire le giornate.

«CI SENTIAMO MENO SOLI»

Durante la conversazione “Liala” vince la timidezza e interviene. «Strano che la gente pensi alla solitudine quando si parla di montagna, – aggiunge la moglie -, qualcosa da fare c’è sempre, anche a Vaio. Sicuramente ci sono dei ritmi diversi, meno fretta: scendiamo a Ferriere a fare spesa e qualcuno con cui chiacchierare lo troviamo sempre. E ti fermi volentieri a parlare. Qui ci sentiamo più coinvolti». «Strano a dirsi – sorride il marito Domenico - ma abbiamo fatto più vita sociale a Vaio che conta venti persone d’inverno, che non a Milano. Ci sentiamo meno soli in Alta Valnure».

«SANITA’ E SOPRATTUTTO SCUOLA: ECCO I DISAGI MAGGIORI»

A Domenico proviamo a ricordare tutti gli aspetti negativi del vivere così lontano dalla città. Sa bene com’è la situazione e prova ad analizzarla da par suo. «Su dieci aspetti della vita qui, otto sono vantaggi. Non è il “terzo mondo” come pensa qualcuno». L’unico “buco” sono i servizi. «Ci manca solo l’avere maggiormente vicino scuole e strutture sanitarie. Per tutto il resto non vedo problemi». Il tema della scuola per Domenico è il più sensibile dalla popolazione. «Il dramma è quando i figli iniziano a frequentare le superiori. Significa vederli uscire di casa alle 6 del mattino e tornare alle 16.30 per sei giorni alla settimana. Una sfacchinata. Così una famiglia viene “spinta” a trasferirsi in pianura o in città. Quantomeno un indirizzo tecnicoè l’invito che fa alle istituzioni - e uno di ragioneria a Bettola, per aiutare gran parte dei ragazzi, si potrebbe fare».

Le distanze, ad esclusione del problema della scuola – che però non riguarda la sua famiglia perché i figli sono grandi e già genitori -, non sono un ostacolo insormontabile. «A Milano hai tutto a portata di mano, nel raggio di 20 chilometri hai qualsiasi cosa. Però per fare quei chilometri ci metti anche due ore. Qua non regali tempo al traffico, ai semafori, alle code. Non si crea stress, si è più rilassati e, ovviamente, si vive in mezzo alla natura respirando solo aria buona». Fare su e giù tutti i giorni per lavorare a Piacenza, è fattibile? «È tosto. I miei figli quando abitavano a Vaio si recavano a lavorare a Bettola e Pontedellolio, e si può fare. Fino a Piacenza – ammette - è dura».

 

Soprattutto, secondo i due coniugi, la montagna piacentina è un luogo dove passare una serena pensione. «Sono i pensionati che potrebbero tornare qui – riflette l’ex “milanese” Domenico -. Sento tanti che lo dicono, ma poi non lo fanno». «Non è questione di coraggio – interrompe il discorso Liala -. È che i figli hanno bisogno una mano per curare i bambini, per sbrigare un po’ di commissioni. E allora rimangono vicini a loro».

«PENSIONATI, TORNATE A VIVERE QUI»

Domenico è convinto. «Se ci fosse più lavoro in zona, tante famiglie tornerebbero ad abitare questi paesini. Chi è cresciuto qui rimane per forza affezionato e fa molta fatica ad andarsene». «I miei genitori, che non sono né piacentini né ferrieresi – spiega Laila – hanno conosciuto Vaio e non avevano problemi a viverci». I vostri figli non hanno mai rimpianto di poter vivere e crescere a Milano? «Mai detto questo – conclude Liala -, è stata una scelta di famiglia condivisa da tutti. Dopo qualche anno ho chiesto a tutti se avevamo fatto la cosa giusta. Nessuno si è pentito». Sarebbe bello se l’entusiasmo di questa coppia contagiasse qualcun altro. «Un amico neo pensionato – racconta ancora Domenico -, ci ha detto che anche lui ha ri-iniziato una nuova vita sui monti. Come abbiamo fatto noi 15 anni fa. I giovani che hanno un lavoro in città e in pianura, se lo tengano stretto e stiano vicino al luogo di lavoro. Ma chi è in pensione, è l’appello che mi sento di fare, torni a vivere dove è nato. Anche solo per qualche periodo dell’anno. Vivrà meglio».

"Montagna viva", l'Appennino merita un futuro


Si parla di