Attualità

Quando il Trebbia era... in città: i ciottoli della Piacenza romana

Un dibattito sul “sasso” e sui “ciottoli” che hanno fatto da culla alla nascita della Piacenza romana

Nel mese scorso abbiamo riferito la conferenza svolta alla Dante Alighieri nella quale il geologo prof. Giuseppe Marchetti ha sostenuto l’infondatezza della tradizione che indica il “sasso” inteso come un unico saldo ammasso roccioso, quale culla della parte alta e antica della nostra città. Il “Sasso” non esisterebbe poiché si tratterebbe della salda ossatura dei depositi ghiaioso-ciottolosi del Trebbia, assai più consistenti delle “molli” sabbie limose sulle quali è impostato il basso ripiano che lo circonda su tre lati: le vie S. Ambrogio, Ventun Aprile, Stazione Ferroviaria. L’alveo del Trebbia nei secoli si è infatti spostato di ben quindici chilometri a ovest, traslocando lo sbocco sul Po da est a ovest di Piacenza (il “gomito di deviazione” si è verificato - dov’è tuttora ben visibile - all’altezza di Rivergaro (curva ad angolo retto nella località “Le Rive”), a seguito di una vera e propria “rotta fluviale”; non si è quindi trattato di uno spostamento “a tergicristallo”). Nel 218 avanti Cristo infatti il fiume costeggiava la Statale 45 per Bobbio, per poi arrivare dritto in città. La colonia romana di Placentia fu creata nel 218 a.C. in corrispondenza di una stretta morfologica della fascia di meandreggiamento del Po, a controllo di un punto di attraversamento del fiume stesso e del Trebbia che all’epoca sfociava ancora a est della città, in corrispondenza della zona di Le Mose. Le conclusioni di Marchetti hanno stimolato l’interesse di diversi lettori e alcuni ci hanno inviato a commento le argomentazioni che seguono. 

Mi sentivo forte, lusingato e potente – ha scritto con ironia Giampietro Comolli - con la mia Piacenza costruita sull’unico sasso (tipo Pietra Parcellara anche dalle origini esoteriche e mistiche) ... ed ecco Marchetti distrugge la mia certezza!? Sicuramente ha anche ragione visto i depositi alluvionali … ma di solito vengono dalle Alpi e non dagli Appennini i depositi marnosi detriti ciottolosi… noi avevamo calanchi poco distanti. Mi lascia qualche dubbio sia il sasso fatidico sia i detriti; credo di più nella tesi dell’Africa che spinge nell’arco del Golfo ligure e spinge sotto la crosta una sella d’asino fra Stradella e Piacenza ….ma questa è geo pedologia.

 “Mi rincresce per Comolli - ha risposto Marchetti - ma tutti i sassi sui quali è sorta Piacenza sono prima passati a Travo... mio paese d'origine!”. Comolli di rimando … allora è giusto pensare e credere, che un po’ di “pietre parcellare” siano finite sotto l’urbe Placentia …

 

Roberto Laurenzano, Presidente del Comitato Piacentino della Dante: “Vi sono studi particolarmente approfonditi e tecnici che fanno sì che una teoria che può sembrare solo un’ipotesi sia invece una “verità” scientifica sul “come possano essersi formati determinati ... sassi su cui poggia Piacenza, o meglio, il “nucleo originario” di Piacenza.

Pietra Parcellare sarà senza dubbio un aspetto peculiare della storia paleogeomorfolgica del territorio piacentino, ma ciò non toglie che la formazione di base della città sia stata determinata innanzitutto dall’Appennino (che è quanto meno molto più affiancato alla città, e non dalle Alpi).


Nulla esclude che anche le Alpi abbiano avuto “gioco” in materia, ma è fuor di dubbio la verità “di fatto” che il sasso “appenninico” è senza dubbio il “primo” a poter far “sentire” alla città un “addossamento” e dunque una influenza di base, sulla quale poi la massa di detriti portati nella storia plurimillenaria dal Trebbia, abbia avuto a propria volta il suo ruolo determinante conclusivo. Certamente anche l’Africa ha il suo peso in questo “spingere l’Italia verso” il territorio ligure, ma sarà pur sempre stato l’Appennino, a “farsi sentire” con proprie spinte nei confronti del territorio del nucleo storico di Piacenza e ad avere attuato dei corrugamenti entro i quali poi si sono man mano (plurimillenariamente parlando) depositate le masse di detriti e ciottolati portati dal Trebbia. Potrà forse dispiacere al ... piacentino del “sàss” la tesi scientifica di Marchetti, ma tant’è. Il “Sass” può sempre essere considerato non inesistente pensando con un po’ di fantasia realistica a una “base di fondo (molto di fondo)” su cui poi si sono aggiunte le “pluritonnellate” di detriti ciottolosi portati da un Trebbia che ERA ... IN CITTÀ.

A proposito del detto popolare “Piasintein dal sass”: Cesare Zilocchi su queste colonne aveva scritto: “Dice che i piacentini avevano le scarpe pulite perché camminavano sull’acciottolato mentre i villici che arrivavano dalle campagne si distinguevano per le scarpe infangate. Quindi "quelli del sasso" starebbe per "quelli delle scarpe pulite".  Intanto non tutta la città era acciottolata o lastricata; spesso punteggiata di ortaglie, solcata da rivi e canali, imbrattata di deiezioni umane e animali. Per di più i villici, soliti arrivare alle porte a piedi nudi, calzavano le scarpe solo entro le mura, così che, semmai, erano proprio loro a indossare calzature pulite”. In un famoso verso Valente Faustini dice di se stesso: me sum nascì ins ‘l sass dla me Piaseinsa…  L’articolo al singolare – afferma Zilocchi - basta ad escludere qualsiasi ruolo dei ciottoli nella espressione di cui ci occupiamo. Cos’è dunque ‘l sass cui allude il poeta? E’ La parte alta e antica della città, quella che corrisponde alla quadra romana e alle due ampliazioni medioevali. Oggi siamo adusi usare la parola sasso col significato di piccola pietra ma quel lemma di significati ne copre più d'uno. Basta andare alla voce su un buon vocabolario. "Sasso" è anche un monte, un colle, una parete rocciosa, e in particolare un rilievo non facente parte - riguardo a orografia o tipologia - di una catena (vedasi Gran Sasso, Sasso Marconi e altri). 

Finalmente la Scienza fa emergere una verità e una certezza, ha scritto il cultore di memorie locali Sergio Bersani, quando invece alcuni storici si sono spalleggiati a vicenda raccontando una non verità per diversi secoli.

Bene ha fatto il prof. Marchetti evidenziare la sinuosità altimetrica delle nostre vie del centro storico e così pure affermare che questo poggia su un ammasso di ghiaia, ciottoli e ciottoloni arrotondati nella fase di rotolamento portati dal Trebbia nel confluire nel Po, poiché il Trebbia nei secoli passati ha cambiato il suo percorso spostandolo da Est verso Ovest determinando un conoide di deiezione in corrispondenza della sua foce. L'errata definizione "Sasso di Piacenza" ci induceva a pensare che la città fosse stata fondata su un consistente fondo di roccia viva, ma la convinzione era sbagliata. Questa situazione fisica geomorfologica del bacino idrografico del Po a Piacenza, è stata resa evidente, con carta particolareggiata C.I.P.E. 5/8/1988 redatto a cura della Regione Emilia Romagna che allego in stralcio rielaborato, unitamente ad alcune foto che evidenziano vecchi muri della città (via Buffalari e via Scalabrini), che presentano ciottoli inglobati e compositi con mattoni in cotto. I mattoni costavano soldi, per cui i ciottoli depositati dai sedimenti del Trebbia erano un’opportunità a portata di mano, in alcune zone bastava scavare anche meno di un metro. Le immagini evidenziano il lastricato in ciottoli di Cantone San Nazzaro e porzioni di vecchio lastricato emergente in Cantone del Bettolino e via Della Ferma i cui ciottoli del Trebbia sono appiattiti a differenza di quelli appuntiti usati in relativamente recenti rifacimenti di alcune vie.