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Vestigia farnesiane, qualcosa si muove in città per il loro decoro

Se ne è parlato alla Famiglia Piasinteina insieme ai tesori dei Farnese custoditi nelle collezioni di tutto il mondo

La nuova presentazione alla Famiglia Piasinteina del libro “Vestigia Farnesiane” che raccoglie, la serie di articoli dedicati alla sessione piacentina della quadrilogia di Convegni internazionali di Studi farnesiani, con successivi approfondimenti articoli di approfondimento di Carmelo Sciascia, Emanuele Galba, Eugenio Gentile, Giorgio Eremo, Marco Horak, Mariano Andreoni, Stefano Pronti, Umberto Fava e Valeria Poli, è stata occasione per il curatore della pubblicazione Renato Passerini, di annunciare il superamento, ad opera del Comune,  di alcune delle criticità che da anni caratterizzano il decoro urbano di parte delle testimonianze lasciate dalla dinastia Farnese.

Fra via Gaspare Landi e via Mochi su una pietra angolare è scolpita l’iscrizione “MDXCV / VIA COLONA 1595” che indica, presumibilmente, quello che al tempo dei Farnese doveva essere il nome dell’attuale via Mochi (intitolazione del 1951), la strada che dalla via Landi conduce allo Stradone Farnese, e successivamente divenuta Cantone di San Bartolomeo. Nel 1887 la strada fu ribattezzata con il nome del grande pittore piacentino Gaspare Landi. Per anni la targa stradale è stata nascosta dalla segnaletica viaria; solo dopo l’uscita del libro, causalmente o non, la situazione è migliorata. Discoro analogo per la stele commemorativa che abbandonata a terra nel cortile di Palazzo Farnese e da alcuni mesi è stata ricuperata e degnamente collocata su una parete all’ingresso del palazzo.

Ci sarebbero novità anche a proposito del dipinto di Bernardino Massari, pittore (1727-1913) : La guarnigione austriaca abbandona il Castello di Piacenza nel 1848 (foto allegata); trasferito dalla originaria sede di via Poggiali (Cassa di Risparmio) alla direzione del Credit agricole di Parma. Come suggerito nelle pagine del libro, l’assessore alla cultura Jonathan Papamarenghi avrebbe avviato un approccio con la Direzione dell’Istituto bancario mirato ad ottenere l’affido dell’opera al nostro Museo del Risorgimento o quanto meno il ritorno alla primitiva collocazione.

Piacenza, è stato osservato, deve molto dagli anni della dinastia del Farnese: dall’occasione irripetibile di essere più importante di Parma sino alle numerose testimonianza opere di grande pregio quali  le mura, i palazzi nobiliari e chiese sorte nel periodo della  dinastia, lo stradone Farnese, ma nonostante ciò Piacenza sembra non avere grande empatia per  quanto hanno lasciato. Le mura anziché un patrimonio urbanistico da tutelare e valorizzare sono state viste come un ostacolo alla espansione della città: in varie epoche sono state demolite,  oltrepassate e compresse da strade,  inglobate in edificazioni edilizie,  terrapieni e fossati colmati e ancora oggi in molti tratti sono accompagnate da  l’incuria, maleducazione, accompagnano spesso le loro vestigia. La nostra principale piazza è intitolata ai cavalli ignorando chi li cavalca.

 

Nella seconda parte dell’incontro il prof. Mariano Andreoni ha illustrato i due suoi poderosi volumi dedicati ai Tesori dei Farnese, compiendo un interessante excursus dei Farnese da Ranuccio il Vecchio (1390-1450) a Elisabetta Farnese (1692-1766), che riprendiamo nelle parti più significative. L'esame di inventari, disposizioni testamentarie, relazioni di feste, corrispondenze, libri di conti - tutto materiale conservato soprattutto negli Archivi di Stato di Napoli e Parma - permette di rilevare l'importanza, sia numerica che qualitativa, delle opere di arte decorativa all'interno delle collezioni farnesiane. Un patrimonio vastissimo, fatto di arazzi, armature, bronzetti, maioliche, pietre dure incise, oreficerie, reperti archeologici, codici miniati e libri antichi, dipinti, sculture, strumenti musicali e scientifici, monete e tanti altri oggetti curiosi e splendidi, un patrimonio che mette in evidenza che i Farnese furono eruditi e raffinati amatori e colti intenditori di piccoli ma straordinari oggetti d'arte, d'arredo, di

decorazioni e di cultura. Queste ricche raccolte farnesiane sono il risultato di varie acquisizioni effettuate nell'ambito di tre diversi ruoli ricoperti dalla famiglia Farnese. Il ruolo di famiglia romana legata alla Chiesa, infatti poteva vantare un papa, Paolo III, che ha dato la spinta iniziale per la formazione delle collezioni, e ben cinque cardinali che continuarono a seguire il suo esempio. Ai Musei Civici di Piacenza rimangono soltanto i quattro paracamini in legno dorato, due piatti in maiolica e alcune tele dei Fasti farnesiani restituite nel 1928 riguardanti le storie di Paolo III e il matrimonio di Elisabetta Farnese con Filippo V di Spagna.

Molti oggetti d'arte che una volta arricchivano le dimore dei Farnese oggi sono conservati in collezioni private e pubbliche di tutto il mondo (occidentale); a Vienna (Hogjagd-und Rustkammer) è conservata la Guarnitura di Alessandro Farnese, in acciaio sbalzato, brunito dorato e argentato del bravo PICCININO; a Los Angeles (Paul Getty Museum) c'è la Pietà dell' orefice CESARE TARGONE; in Francia, precisamente a Ecouen (Musée National de la Renaissance) conservato lo Studiolo che nel Cinquecento arredava il Palazzo Farnese di Roma, un'opera in noce rossa del falegname Flaminio Boulanger sotto la supervisione di Giacomo della Porta; a S. Pietroburgo (Museo dell' Ermitage) il grande Piatto da pompa di maiolica con medaglione centrale istoriato con l'episodio biblico di "Giosuè che ferma il sole" e attorno motivi di elegantissima raffaellesca; a Parigi (Musée du Louvre) un altro Piatto da pompa con l'arme di Pier Luigi Farnese, del XVI secolo; a New York (Pierpont Morgan Library) il Libro d'Ore Farnese con tante miniature meravigliose; ancora a New York ma in altro museo (Metropolitan Museum of Art) è conservato il Tavolo Farnese di marmo colorato, marmo bianco e alabastro (Foto allegata): un tavolo nato dalla collaborazione del Vignola con Guglielmo della Porta.

Però, come consolazione di noi italiani, c'è da sottolineare che i nuclei più consistenti delle varie collezioni farnesiane si trovano in Italia e precisamente concentrati a Napoli come ha voluto Carlo di Borbone quando nel 1734, divenuto re di Napoli, ha abbandonato il ducato di Parma e Piacenza. Nel Museo di Capodimonte sono conservati i quadri, l'armeria, i bronzetti, le maioliche, le «cose rare", le medaglie rinascimentali e post-rinascimentali. Nel Museo Archeologico Nazionale sono custoditi gli oggetti antichi: i marmi antichi, la glittica e le medaglie antiche e di scavo. Nella Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele IIII" sono conservati i codici antichi e i libri a stampa. Nell' Archivio di Stato di Napoli sono custodite i fondi archivistici e gli inventari farnesiani. Gli arazzi invece hanno seguito un destino diverso: sono spesso serviti per arredare i palazzi pubblici come il Palazzo del Quirinale a Roma e la Villa Medicea della Petraia a Firenze.

Purtroppo la consistenza delle collezioni farnesiane oggi è molto diminuita a causa dei danni derivati dai trasporti: nel Seicento dai palazzi del Lazio a Parma e Piacenza e da qui a Napoli nel Settecento. Inoltre ricordiamo i trasferimenti Napoli-Palermo e Palermo-Napoli per le fughe del re Borbone nel 1798 e nel 1806. Altra causa sono state le sottrazioni da parte delle truppe francesi in età napoleonica di quello che era rimasto a Napoli. Per gli incendi che hanno colpito il Palazzo Farnese di Roma nel 1615 e prima nel 1612 quando bruciò la libreria e morirono diciotto persone. Anche l'Archivio farnesiano subì perdite considerevoli nel 1943 per l'incendio appiccato dai tedeschi. Le collezioni subirono anche dispersioni tra le varie residenze borboniche e soprattutto dopo l'Unità d'Italia per arredare uffici pubblici, sedi diplomatiche, residenze ufficiali come il Quirinale, Montecitorio e Palazzo Madama. E poi non possiamo dimenticare i danni del tempo: ad esempio i tessuti degli arazzi, con l'uso prolungato e lasciati all'umidità, arrivavano alla distruzione: deperibilità dei materiali.


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