Il lockdown secondo Buzzati
È la realtà che genera la letteratura o è la letteratura ha creare la realtà? Domanda banale, sembra di riproporre la questione dell’uovo e della gallina, cioè se sia stato l’uovo l’elemento primordiale cui ha avuto origine la gallina o viceversa. La filosofia inizia la propria speculazione disquisendo sul termine logos, termine che sarà ripreso da Giovanni con l’incipit “In principio era il Verbo” e da Sant’Agostino con il concetto di Verbum. Per continuare nei secoli e giungere tramite l’idealismo hegeliano fino ai giorni nostri.
Sembrerebbe, da questa prospettiva, essere preminente la Parola, il Logos. Oggi siamo tutti chiusi nella nostra fortezza Bastiani, ed è dalle proprie mura domestiche che immaginiamo il mondo, tutta la realtà che sta fuori, al di là della nostra porta. Ci costruiamo la realtà, una realtà che non corrisponde a quella conosciuta perché deformata dall’isolamento e l’isolamento è costrizione, non una libera scelta, come tale deformante. L’isolamento è in qualche modo l’opposto della solitudine. La solitudine diversamente è una scelta, una condizione che si acquisisce con la maturità, si dice infatti che può essere raggiunta solo nell’età adulta: nella solitudine si riflette e si ricrea la propria visione del mondo.
L’opera di Dino Buzzati “Il Deserto dei Tartari”, date le sintetiche e brevi premesse, possiamo considerarlo un prototipo cui trarre alcune consequenziali considerazioni. Due in particolare. In primis che la realtà così come ci si presenta oggi è già esistita in letteratura, è stata
Considerato che da più parti ci si dà da fare per consigliare delle letture per trascorrere nel migliore dei modi questo nostro isolamento, io consiglierei proprio la lettura de “Il Deserto dei Tartari”. Una lettura cui torno spesso, dai tempi del liceo, il libro l’ho comprato se non ricordo male nel 1969, edito nella collana Oscar Mondadori. Valerio Zurlini nel 1976 ne realizzò una trasposizione cinematografica,l’ultimo ed uno dei migliori film della sua vita.
Buzzati non dice le stesse cose che Kafka con “Il Processo”, a prima vista, può sembrare avesse detto. L’uomo dello scrittore boemo si trova suo malgrado imprigionato, vittima sacrificale, il soldato di Buzzati partecipa invece “motu proprio” alla sua condizione di “felice” prigionia. Così come tante persone oggi hanno interiorizzato un comando esterno ed acconsentito a privarsi delle proprie libertà, sono andate perfino oltre, rendendosi compartecipe di una strategia della paura e di una consequenziale caccia all’untore.
Mentre si rimane isolati a casa il tempo comunque continua il suo corso: “il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non si può fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro”. Così ognuno continua, giorno dopo giorno, a sentire il rovinoso scorrere del tempo, generato dalla mancanza di qualsiasi punto di riferimento.
Sarebbero tantissime le affinità elettive tra quest’opera e la realtà che si è venuta a determinare in seguito al cosiddetto lockdown ( termine che si riferisce tanto all’isolamento dei detenuti quanto a misure d’emergenza che non permettono di entrare o uscire da un determinato luogo). Preferisco lasciare ai futuri lettori la possibilità di trovare le altre (e sono tante) analogie (coincidenze ed incidenze) che insistono e sussistono tra la scrittura del Deserto dei Tartari e la realtà quotidiana che si è venuta a determinare.
A conclusione preferisco lasciare l’ultima parola, come è giusto che sia allo scrittore, a Dino Buzzati: “A poco a poco la fiducia si affievoliva. Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può più parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangano sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita”. La nostra quotidiana solitudine.