Piacenza, una storia per volta

Altri bei tipi, altre attività del centro: Tic Tac, Babanelu e “un’istituzione” commerciale, le mercerie Borella

C’erano tanti bei “tipetti” in centro storico, oltre che, ovviamente, tante attività economiche

Tic Tac

C’erano tanti bei “tipetti” in centro storico, oltre che, ovviamente, tante attività economiche. Di alcune “storiche”, per esempio drogherie, macellerie e salumerie, abbiamo già trattato; questa volta ne prenderemo una ad esempio per un’altra categoria merceologica, ovvero la merceria Borella, un riferimento quando le donne che vivevano soprattutto tra le mura domestiche (non mi si adombri per questa constatazione alcun antifemminismo…, perché tale era la realtà sociale per la stragrande maggioranza), erano solite confezionarsi abiti da sole, per non parlare di rammendi, ricuciture, bottoni, asole,maglioni ed uncinetti e chi più ne ha, più ne metta. Non a caso nelle scuole per loro era previsto l’insegnamento di economia domestica introdotto già dalla riforma Gentile.

Altri tempi, impensabili oggi, perché quasi tutte le signore e signorine lavorano e sono impegnate in attività in ogni campo lavorativo, contribuendo in modo determinante al bilancio familiare; ora, ovviamente, non hanno certo il tempo per apprendere e svolgere lavori che, non a caso, hanno contribuito al rilancio di sartorie gestite, per la maggior parte, da imprese di origine straniera. In ogni caso tra le mura domestiche ad onor del vero hanno sicuramente più incombenze di noi uomini!

Perdonate la banale digressione che è semplicemente la presa d’atto di un mutamento radicale in atto nella nostra società in ambito familiare e ritorniamo invece all’epoca giolittiana quando era di moda l’abbigliamento di sofisticata eleganza floreale.

Il negozio punto di riferimento per mode e mercerie era “Giacomo Grilli” con sede in via XX° Settembre (ovvero Stra Drìta); dopo circa 50 anni di attività (il capostipite iniziò nel 1850), successe la gestione affittuale di tre commessi: Tammi, Cella, Campanini. Venuti a mancare gli ultimi due, la titolarità passò a Giuseppe Tammi che la mantenne fino al 1922, quindi a lui subentrò il fidato commesso Vincenzo Borella, il tutto sancito da un volantino consegnato a tutti i clienti della ditta:” Ho l’onore di comunicarvi che con il 1° di ottobre è subentrato nel negozio di mercerie e mode sinora da me condotto, il signor Vincenzo Borella da vari anni mio bravo ed attivo commesso. Dotato di buona volontà e salda pratica commerciale e di mezzi sufficienti per far fronte ai propri impegni (rivolto evidentemente ai fornitori…) egli saprà tener alto il decoro ed il credito che furono sempre orgoglio della ditta Grilli Giacomo (a sottolineare la consolidata continuità dal fondatore)”.

 

Non si era sbagliato: Vincenzo fu infatti in grado di proseguire con decoro e competenza, le antiche tradizioni della ditta, imponendosi per il “savoir faire” e l’affidabile probità commerciale. Gli affari prosperarono e Vincenzo decise, nel settembre del 1923, di sposare la sua valida ed onesta collaboratrice Clelia Molinari.

Nel secondo dopoguerra la ditta Vincenzo Borella- “Guanti per tutti”, lasciò i locali di via XX Settembre in seguito all’abbattimento dell’isolato compreso nella costruzione del 3° Lotto del Piano Regolatore, trasferendosi poi nel negozio di via Chiapponi dove la signora Clelia proseguì con immutato decoro e serietà operativa l’eredità del consorte, sempre sotto l’egida di “guanti per tutti”.

In centro transitava sovente anche Tic tac che quando aveva “caricato” più vino del solito, era seguito da uno stuolo di monelli che gli gridavano quello sgradito soprannome perché portava una scarpa con il tacco chiodato e l’altra senza e quindi quando camminava sul marciapiede, quello era il ritmo imposto. Per campare faceva il venditore ambulante di giornali che era solito “spassosamente” strillonare per le vie del centro.

Altra “macchietta” dei giorni di mercato era Sizàr, con banco di formaggi in Piazza Cavalli. Burbero fino all’eccesso, si “scioglieva” però se si aveva l’accortezza di decantare i suoi prodotti, al che tutti ne approfittavano per chiedere sconti. Nei giorni del Carnevale Sizàr noleggiava una carrozza e via da un capo all’altro della città. La baldoria si protraeva finché duravano i quattrini che sperperava da gran nababbo; poi tornava a vendere formaggio e rimettere da parte il gruzzolo per il Carnevale successivo, l’unica vera festa per lui da celebrare.

C’era infine Babanelu, un singolare personaggio che sarebbe piaciuto al Dostoevskjij di Umiliati ed offesi e Memorie del sottosuolo. Viveva tra il Caffè Commercio ed il Gran Bar d’Italia, ma non dentro ai locali, bensì in quel tratto di marciapiede scandito dai massicci paracarri, quasi sempre solo; indossava abiti consunti e demodè, ma puliti, abiti poveri ed onesti, ricordo di una vita un tempo più agiata.

Vendeva, con discrezione, quasi con pudicizia, qualche articolo di consumo: matite, cartelle, fazzoletti ed altro; ciò che poteva se lo teneva in tasca, oppure in una borsa che teneva all’interno di un locale. Era più attivo nei giorni di mercato; si avvicinava con discrezione tra la gente, tra i sensali e mediatori, tra agricoltori e proponeva l’acquisto. Qualcosa racimolava sempre ed allora si ritirava “pago” di aver rimediato l’incerto magro pasto quotidiano che soprattutto alla sera consumava presso la trattoria ‘d Vulpèi che non mancava mai di offrigli un boccone in più.

Ma Babanelu aveva un cuor d’oro ed amava scambiare qualche parola con chi gli era vicino, proponendo una sigaretta o un bicchier di vino, anche se quello significava magari spendere gli ultimi spiccioli che aveva in tasca. Un giorno poi non si vide più nel suo solito angolo in piazza; si disse che era andato a vendere quaderni e matite ed altri ammennicoli agli angeli, poi il suo ricordo si perse rapidamente; sono rimasti solo i paracarri a cui stava appoggiato a rammentarne la figura…