Piacenza, una storia per volta

Cementirossi, il fascismo e la guerra non pongono fine all’attività del cavaliere Giovanni

Al termine del secondo conflitto mondiale Giovanni Rossi partecipa alla ricostruzione di Pontedellolio

La Cementirossi nel 1932

La prima puntata su Giovanni Rossi e Cementirossi

A conflitto concluso (1° guerra mondiale), tornato nella sua amata terra, Giovanni Rossi si rimboccò le maniche rimettendosi al lavoro, intuendo che per l’industria edilizia si aprivano prospettive operose nel contesto della nuova realtà economica nazionale. Non erano tempi facili: le agitazioni sociali e le drammatiche vicende politiche del periodo 1918- 1922, non incisero però sul normale andamento della sua azienda che, proprio in quell’epoca di gravi turbamenti civili, di lotte sindacali, non fu mai toccata da uno sciopero, avendo instillato nella sua famiglia aziendale, sempre con il linguaggio dei fatti e non delle parole, l’ideologia premiante della solidarietà fra capitale, indirizzo tecnico-produttivo e lavoro.

Avendo maturato in termini ideali una profonda coscienza socialista, retaggio sia pure romantico-umanitario della propria formazione giovanile, Rossi non se la sentì di abdicare ai presupposti della sua fede politica. Non era un opportunista, un camaleonte, uno dei tanti voltagabbana di cui purtroppo è zeppa la storia politica del nostro paese. Non si piegò al nuovo indirizzo politico da cui avrebbe potuto trarre ben altri vantaggi. Preferì, sotto l’ondata delle intimidazioni, allontanarsi dalla sua terra, strapparsi, come si suole dire, dalle sue radici ancestrali, anziché piegare la cervice agli imperativi categorici del nuovo potere politico.

Con l’avvento del fascismo, essendo di radicata fede socialista, fu infatti costretto ad allontanarsi e a rifugiarsi nel deposito di carbone delle Ferrovie dello Stato a Torino. Negli anni successivi si trasferì a Milano dopo aver temporaneamente affidato la sua attività all’amico Aride Breviglieri titolare dell’RDB. Furono per lui anni di doloroso “esilio in patria”; ma la sua azienda continuò a restare la roccaforte dei suoi ideali, proseguendo sulla linea direttiva da lui tracciata. Anche nel forzato distacco, la sua presenza fu viva e stimolante; l’azienda marciò a ritmo di crescita e sviluppo inarrestabili. Ormai il dado era tratto e quando la situazione socio-politica si normalizzò, egli potè passare il “Rubicone”, ossia tornare nella sua Pontedellolio con rinnovato vigore imprenditoriale. Fu appunto in quegli anni che maturò il progetto di dedicarsi alla produzione del cemento, con l’acquisto di un modesto stabilimento a Piacenza in cui insediare la sua attività industriale. Correvano gli anni Trenta. La nuova azienda da lui rimodernata e potenziata, riuscì a procedere malgrado l’impatto economico-finanziario causato dalla “grande depressione” (la cosiddetta, da noi, quota ’90); assunse nuovi tecnici e nuove maestranze, rilevando nel frattempo un’altra cementeria a Borgo Val di Taro nel Parmense.

 

Erano i primi anni ’40. Scoppiò la 2° guerra mondiale e come tutte le guerre arrecò disastri e disagi funzionali anche alle strutture produttive. Ma la Cementirossi si arroccò su se stessa e riuscì a fronteggiare le traversie belliche. Rossi si propose non solo di salvaguardare l’azienda, ma anche i dipendenti minacciati dal reclutamento forzato e dalle deportazioni durante l’occupazione tedesca dopo l’8 settembre 1943. Forse si dette troppo da fare e per questo cadde in sospetto di “fronda” antipatriottica. Subì l’arresto e la detenzione. La fase finale del conflitto, con i bombardamenti aerei a tappeto, resero praticamente inutilizzabile lo stabilimento di via Caorsana.

Cessata la guerra, nel 1945 Giovanni Rossi, grazie anche alla collaborazione dei tecnici e delle maestranze a lui legate da vincoli di affettuosa stima, rimise in piena efficienza gli apparati dissestati, con mezzi di fortuna prima, poi con impianti d’avanguardia tecnologica, precorrendo i tempi, con l’innato spirito pioneristico, realizzando nello stabilimento di Piacenza un ufficio-studio per la produzione di grandi elementi in cemento armato pre-compresso. Tra il 1945-1946 per primo in Europa introdusse il gas metano nei processi di combustione.  Le innovazioni della Cementirossi costituirono così un modello che varcò i confini nazionali, assumendo entità esemplare anche in campo internazionale.

Alla progressiva complessità dell’azienda, fece riscontro (ed è questo un caso del tutto singolare) la estrema, quasi disarmata semplicità dei tratti, del comportamento, del costume del suo fondatore. Nonostante il secondo conflitto mondiale avesse messo a dura prova la sua forte tempra, Giovanni Rossi partecipò fattivamente alla ricostruzione del suo paese nel dopoguerra; imprenditore attento alle istanze sociale, costruì le prime case per i dipendenti; diversi immobili divennero proprietà degli operai che vi abitavano. Aprì inoltre spacci cooperativi che praticavano prezzi agevolati. Al termine del conflitto contribuì ad acquistare i banchi delle scuole elementari ed il carbone per riscaldamento, aprì una scuola di disegno per i figli dei lavoratori. Costruì negli anni 54-55 l’asilo d’infanzia di Via Vittorio Veneto e, ad un anno dalla morte avvenuta il 6 gennaio 1959, la figlia Emilia, proseguendo nella linea tracciata dal padre, inaugurò anche la “Scuola Materna Giovanni Rossi”.

Nel 1984 l’ingegner Aonzo (il nipote a lui succeduto alla guida della Cementirossi) porterà a termine la costruzione del Centro sportivo Cementirossi e nel 2001 donerà alla comunità pontolliese le fornaci, complesso di archeologia industriale. Infine resta da ricordare la donazione di Villa Rossi, della fioriera, ex deposito della calce e del parco circostante, a perenne ricordo e testimonianza di uno dei migliori esempi di illuminata imprenditorialità piacentina. Fu dunque un autentico capitano d’industria, un Cavaliere del Lavoro nell’accezione non certo mistificata del termine. Il suo umanitarismo socialista continuò a funzionare fino alla fine, nella sintesi pratica fra capitale e lavoro.