Piacenza, una storia per volta

Col tram a cavalli dalla piazza fino in stazione: ecco i trasporti pubblici dei nostri bisnonni

Quella dei primi tram a cavalli fu una vita effimera e tribolata. Mentre chi poteva utilizzava i brum o i “fiacres”, i tram potevano ospitare una ventina di persone. Avevano sedili ricoperti di velluto rosso disposti in bell’ordine lungo le fiancate

In queste due puntate tratteremo dei trasporti pubblici dei nostri bisnonni, ovvero di quando i ritmi di vita erano assai meno frenetici di quelli odierni, quando anche lo svago diventa obbligo compulsivo, ed i momenti di relax ci paiono solo un’inutile perdita di tempo e non un gratificante momento per ritrovare un po’ noi stessi.

Piacenza, come molti ben sanno, è stata fino a pochi decenni fa, in proporzione al numero degli abitanti, una delle capitali delle organizzazioni di autotrasporto grazie al fatto di essere un nodo stradale di eccezionale importanza. E’ noto che in Italia l’80% di questi servizi avviene su strada ed a nulla sono valsi i tentativi di incentivare i trasporti ferroviari potenziando il materiale rotabile o sfruttando la navigabilità di taluni fiumi (come in Francia) per diminuire l’incidenza dei costi ed anche l’inevitabile inquinamento. Quasi certamente queste scelte politiche-economiche sono state influenzate soprattutto negli anni Sessanta da potenti lobby, ma queste celeri chiose le abbiamo annotate solo per rievocare, per contrasto, un angolo di vita piacentina, quello degli stallatici, cioè il ricovero di carri ed animali e soprattutto quando il trasferimento delle cose e delle persone era affidato alle forti groppe ed ai robusti garretti dei cavalli.

Quasi tutto, ai primi del secolo, era affidato alla trazione animale ed anche i tram, come si può evincere da rare foto che ritraggono Porta Nuova nei pressi della Stazione o in Piazza Cavalli, erano trainati da cavalli, per non parlare degli omnibus posseduti dagli alberghi che stazionavano nei pressi della vecchia stazione ferroviaria in attesa di visitatori da condurre alle locande. E che dire di brum e landò in attesa in Piazza di clienti da trasportare, ovvero gli antenati dei taxi? Ne tratteremo successivamente.

Di stallatici ovviamente, dato il grande numero di animali in circolazione, ve ne furono dappertutto, così nel centro storico come in periferia. Uno di questi diede il nome ad una via (Stalle, ora via Capra), nelle immediate vicinanze di Porta S.Lazzaro (ora Lupa), dove per la vicinanza della stazione ferroviaria e dei Magazzini generali, la loro presenza era estremamente richiesta. Così in tutta la zona dei Molini degli Orti. 

Erano sempre edifici “carichi” d’anni e di solito molto malandati (una parte di questi poi fu abbattuto per edificarvi il cinema Roma e le case popolari di fronte). Vi si entrava attraverso un largo ma alquanto basso androne, quasi sempre coperto da un soffitto a travature; si intravedeva, subito più in là, un vasto cortile i cui ciottoli sconnessi erano coperti di paglia.

Disposte alla meglio, specialmente nei giorni di mercato, numerose carrozze dalle stanghe ripiegate, mentre le carrozzelle da due posti le avevano innalzate in aria. Spesso si trattava di veicoli piuttosto malconci perché i proprietari, anche se benestanti, tendevano a sfruttarli al massimo. Costruzioni e riparazioni si effettuavano per la maggior parte in piazzetta Barrozzieri che corre tra via Scalabrini ed i bastioni (ora demoliti); deve infatti il suo toponimo alla presenza di una comunità di artigiani detti carradori o carrai.

Non mancavano i grossi carri sostenuti in equilibrio con un piolo fissato a terra che ciondolava invece dietro quando erano in movimento. Altra caratteristica il lampione ottagonale di legno e tela che alla notte, per segnalare il carro in moto, diffondeva una luce rossastra e fioca.

Quella dei primi tram a cavalli fu una vita effimera e tribolata. Mentre chi poteva utilizzava i brum o i “fiacres” (come li chiamavano nel loro lessico quotidiano i notabili delle categorie snobistiche), i tram potevano ospitare una ventina di persone. Avevano sedili ricoperti di velluto rosso disposti in bell’ordine lungo le fiancate.

Il loro itinerario partiva da Piazza cavalli ed arrivava al Piazzale della Stazione ferroviaria percorrendo un tratto di via Cavour, il Dazio vecchio (via Romagnosi), cantone Tre Ganasce (via Legnano), un lembo di via Cavallotti (via Roma), via Alberoni (già via delle Torricelle), via delle Orfane (ora dei Mille) fermandosi presso le cancellate di Porta Nuova, a due passi delle ferrotranvie a vapore.

La ditta Tinelli voleva poi estendere le rotaie lungo corso Vittorio Emanuele fino alla Barriera S. Raimondo.

Ma il progetto non decollò, anzi il servizio con i cavalli venne presto sostituito, nel 1908, dalla linea elettrificata, nonostante le proteste dei “fiaccherai” (vetturali) minacciati nella loro attività che li avrebbe gettati “sul lastrico”, in senso metaforico- economico, giacché in senso pratico i lastricati e le “trottatoie” di marmo erano i loro percorsi privilegiati. 

Per molti anni però, a parte i tram, si continuò ad utilizzare i cavalli, ma l’elettricità velocizzò lo scenario placido e sereno della vecchia Piacenza di inizio secolo dove si camminava davvero a “passo d’uomo e di cavallo”.

Dei brumisti e della dinastia dei “Pugìn” tratteremo successivamente.
(Fine prima parte)


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