Piacenza, una storia per volta

Gigi Del Papa, cantautore e ballerino della Piacenza degli anni ’30

Il fenomeno dei cantautori non è dunque prerogativa del periodo che va dagli anni ‘60/’70, ma ebbe modesti ed oscuri pionieri nelle piccole città di provincia già negli anni ‘30, fiori nella penombra delle prime orchestrine all’aperto, nelle piste da ballo dei rioni popolari, nei ritrovi danzanti organizzati nelle sedi di società sportive. La storia di Gigi Del Papa, in arte "Gigi Marturano"

Gigi Del Papa

Rievochiamo un altro personaggio della nostra Piacenza popolaresca, un fantasista, un cantautore ante- litteram, deus ex machina di feste, protagonista in teatrini, circoli ricreativi e locali da ballo che rispondeva al nome di Gigi Del Papa, in arte Gigi Marturano.

Il fenomeno dei cantautori non è dunque prerogativa del periodo che va dagli anni ‘60/’70,  ma ebbe modesti ed oscuri pionieri nelle piccole città di provincia già negli anni ‘30, fiori nella penombra delle prime orchestrine  all’aperto, nelle piste da ballo dei rioni popolari, nei ritrovi danzanti organizzati nelle sedi di società sportive dai nomi illustri come la Robur o il Motoclub o magari nelle palestre ginniche come la Salus et Virtus dove giovanotti muscolosi in brachette scure, maglie zebrate e mustacchi a tortiglioni tirano alla boxe, sognando di rinverdire i fasti del celeberrimo Carnera.

Erano i tempi delle follie generazioni del jazz in America e mentre oltre Oceano si ballava con questi ritmi, in Italia si cantava a passo di marcia; il Fascismo abituava gli italiani alle ariette svelte ed orecchiabili, agli inni rudi. Ma la musica bandistica del regime non poteva certo soffocare la vocazione melodica del popolo, la sua ansia d’evasione sull’onda dei sentimenti canori.

Mandolini, fisarmoniche e chitarre accompagnavano le danze nelle vecchie “balere” delle periferie e dei sobborghi, sotto i pergolati, nei cortili dei circoli dell’O.N.D. (Opera nazionale dopolavoro). Anche a Piacenza le orchestrine popolari e quelle della società elegante ripetevano i motivi di gran voga, da “Lucciole vagabonde” a “Valencia”; si ballava anche nei vecchi locali cinematografici, soprattutto nel “salone rosa” del teatrino “Verdi” di rione Taverna (di cui abbiamo recentemente trattato), famoso per le riviste musicali, per certe memorabili esibizioni d’arte varia.

A Carnevale si tenevano i grandi veglioni danzanti; si suonò e si ballò un genere ritmico nuovissimo: il charleston, specialità di molti “stucchèin” nostrani.

 

Gigi Marturano (Gigi Del Papa) si rivelò ben presto un ballerino con i fiocchi, fregiandosi lui pure delle basette alla Valentino. Diventò anzi maestro di ballo: tutte le specialità del liscio e del sincopato entrarono nel suo repertorio didattico, dai tanghi alle mazurche, dai valzer lenti ai fox, dalle polche al charleston. Poi irruppe il jazz anche in Italia, ma la canzonetta tradizionale continuerà a sopravvivere nei motivi melodici, trovando momenti di eccezionale reviviscenza: si pensi alla “canzone dell’amore” e a “parlami d’amore Mariù” celebrati nei film sonori. Ma la nuova musica impose anche un nuovo gusto, una più vivace strumentazione musicale.

Sono gli anni che precedono la grande depressione originata dal crollo di Wall Street; l’Italia di Mussolini è anch’essa scossa dalla “quota novanta”; la crisi economica si abbatte sul paese che stava rapidamente salendo i gradini della prosperità produttiva.

A Piacenza falliscono, in un’ondata di panico, alcune banche (ne abbiamo già trattato). La miseria dilaga con la disoccupazione, il Fascismo organizza nei rioni più affamati le “cucine economiche” (già attive nei primi del ‘900 di retaggio filantropico e poi di socialismo utopico) che assicurano un piatto quotidiano di minestra alle famiglie più indigenti.Ma il popolo non rinunciò a divertirsi, anzi la miseria diventò uno sprone alla distrazione e reclamò la sua fetta di felicità canora.

Gigi Monturano che aveva fatto il maestro di ballo alla scuola “Bòine” prima e alla “Accademia di Francia” poi, con sede in via Gregorio X°, distribuiva la sua attività in molti settori del divertimento e dello spasso festaiolo di città e provincia. Ai veglioni mascherati vestiva abiti dalle fogge più grottesche e strabilianti, imitava personaggi e macchiette popolaresche più rinomate. Vestiva anche i panni montanari di Vigiòn, si camuffava da Monsieur Fortuna e da Tony.

Del Papa trovava sempre il tempo di recitare negli spettacoli di varietà, con diversi ruoli, cantava, con un megafono di cartone, nelle orchestrine di molti ballabili. Tra i primi batteristi c’era Montuschi; Cervini suonava il sax contralto, al piano si alternavano i maestri Gorgni, Bariola,Battisti ed altri. Tutta una schiera di orchestrali che faceva da sfondo scenico alla Piacenza musicale tra il ’28 ed il ’34. E’ proprio in questi anni che nelle orchestrine jazz fecero il loro ingresso il trombone a pistone ed il sax tenore. Numerosi i cantanti tra cui Buttafava che cantava sui moduli del famoso Gino Franzi, accompagnato al piano da Cobianchi.

 

Le società ricreative, i ritrovi danzanti nascevano come funghi; i giovani fascisti si ritrovavano al teatro Verdi. Poi seguiranno i “gruppi rionali” improntati alla prassi ricreativa del regime, il quale si darà un’etichetta mondano-ufficiale: i gerarchi indossavano l’austero orbace, di ordinanza ufficiale e calzavano stivali alti e lucidi. La pista da ballo dei giardini pubblici divenne poi il fulcro delle esibizioni jazz in stile aggiornato sui testi di maggior successo.

Qui provava Poggi, famoso maestro di tromba, salito poi agli onori dell’Accademia svizzera; qui si alternavano Tassi, Cristalli, Cervini, Fanfoni, Viezzoli (autore di “Triste mia”. Ed ancora: Sirotti, Cammi che darà il nome all’orchestra, nonché Tagliaferri ed il figlio di Iselli, popolarissimo e magistrale mandolinista presente, nella sua carrozzina, in tutte le osterie delle borgate.

La Piacenza di Barbiellini è ormai un ricordo. Sono finite le rivalità fra gli squadristi, il Fascio s’è dato una brillante “vernice” organizzativa, tra Federale e Prefetto corre un’intesa formale; la parola d’ordine è “credere, ubbidire, combattere”. I ritratti del Duce campeggiano sulle pareti degli edifici pubblici, nelle sedi dei circoli, e ce lo mostrano con il fez, con il casco guerriero, nell’uniforme di caporale. Le adunate in piazza, quando il Duce tuona dal balcone di Palazzo Venezia e la sua voce maschia viene diffusa dagli autoparlanti, hanno dimensioni oceaniche.

La guerra con l’Abissinia è ormai vicina; ben presto si udranno riecheggiare dovunque le note di “Faccetta nera”; venne inaugurata la sede dell’Upim in via XX Settembre; le giovani commesse dei grandi magazzini ispiravano i sentimenti galanti e fantasiosi dei gagà del tempo.

Gigi Marturano cantautore, inventò musica e parole che avevano appunto per tema le graziose commesse dell’Upim. Molti anziani ricordavano ancora come cominciava la sua canzone: “Le belle ragazze dell’Upim - che girano per piazza in cappellin- ti danno volentieri del cretin- se cerchi di rubargli il cuoricin…”. Non certo versi sublimi, ma molto orecchiabili. Ma la canzone che renderà popolare Gigi Monturano è quella che cominciava con “è lei quel Giggi - dai calzoni bigi - che mi voleva far veder Parigi?” Non è sua, ma è come se l’avesse scritta e musicata lui, tanto era riuscito a personalizzarla cantandola ai microfoni di quasi tutti i ritrovi danzanti di città e provincia, negli anni in cui trionfava il “gargarismo” erotico- sentimentale.

(Fine prima parte)