Piacenza, una storia per volta

I nomi strani di strade, vicoli e cantoni: Cantòn dal Guast e Cantòn ‘dla Puvartà

via Illica

All’inizio del nostro periplo tra i nomi di vie e cantoni sottolineavamo che le genti di borgata non gradivano affatto sostituzioni di nomi troppo illustri a quelli più radicati nella loro memoria collettiva e pertanto continuarono per lungo tempo a chiamare le nuove strade con il vecchio nome originario.

Tra le denominazioni più significative si può ricordare quella di Cantòn dal Guast, ovvero via Garibaldi così appellato perché nel 1304 furono “guastati”, ovvero demoliti e rasi al suolo, i palazzi dove dimorava Alberto Scoto ritenuto tiranno di tracotanza feudale; sorgevano nell’isolato dell’attuale via Vigoleno, compreso fra l’edificio della Provincia e quello della Prefettura.

Per aggiungere un’annotazione storica, ma soprattutto di costume, ricordiamo che sul Guasto, di fronte alla chiesa di S. Ilario, venne aperto, a spese di un sacerdote nel 1700, un ospizio per pellegrini; vicino vi era in remota età una locanda chiamata, nell’800, Bergamasca. Sull’area della preesistente locanda Bergamasca, la cui attività iniziò nel 1815, s’istallò successivamente il lussuoso albergo Italia, fulcro di avvenimenti mondani, ritrovo galante della società “bene” piacentina nel primi trent’anni del ‘900, albergo famoso per avere ospitato, per ben due volte, il condottiero Giuseppe Garibaldi: la prima in pieno Risorgimento (3 luglio 1848), la seconda dopo l’impresa dei Mille (30 settembre 1862).

Fu sempre denso di avvenimenti mondani, ritrovo della società galante; vi si allestì, tra l’altro, un pranzo futurista con l’intervento di Marinetti e soci movimentalisti, con menu di gastronomia floreale a base di petali di rosa, gigli, anemoni, camelie e via dicendo. Anfitrione il pittore Osvaldo Bot. Altro nome popolarissimo per via Illica fu quello di “Cantòn ‘dla Puvartà” (povertà), il vicolo o cantone che da piazzetta delle Grida sfocia in via Garibaldi. Una via nota anche perché per decenni ospitò ben due trattorie, “Zocca” e “Liguria”.

Gerolamo Illica (da non confondersi con Luigi Illica, librettista di opere) era un ricco mercante del XVI° secolo che per compiere opera meritoria nei confronti della comunità cittadina, stilò un testamento in cui donava quasi tutti i suoi beni, devolvendoli parte in dote a beneficio di un certo numero di fanciulle povere ed orfane di nome Illica o Banderia residenti nel comune di Vigoleno e parte da investire in una “spezieria” (farmacia) con il compito di dispensare medicinali gratuiti ai bisognosi, sovente numerosissimi in quei tempi di carestie e pestilenze.

Ci furono un po’ di traversie per la sua successiva applicazione, ma poi le cose filarono lisce con lasciti alle fanciulle; i cospicui proventi, saggiamente amministrati da un apposito comitato, consentirono alla farmacia di funzionare egregiamente, anzi permisero di stipendiare altresì due medici “fisici” e due chirurghi addetti alle visite ed alle cure a domicilio degli infermi indigenti. In quale edificio in particolare fosse ubicata per tanti anni la benefica “spazieria” non è mai stato specificato dagli studiosi; è però probabile che da essa ebbero origine i medici “condotti”. E la via fu popolarescamente denominata ‘dla puvartà.

 

Procediamo ora (e per altre puntate), ad un elenco che, ovviamente, non vuole essere esaustivo, ma evidenzia nomi e denominazioni più curiose o meno conosciute

Piazza del Comune. E’ l’attuale Piazza Duomo. La guida del Rapetti qui specifica che, quando non era ancora aperta Piazza Cavalli, era detta in tal modo, ma anche Piazza Pubblica e Piazza della Chiesa maggiore.

Chiostri del Duomo. Così chiamati perché anticamente le case adiacenti alla Cattedrale erano abitate dai canonici e prebendari, comprese nell’isolato circoscritto delle vie Pace, Prevostura, S. Salvatore (ora Scalabrini), Cantone Prevostura.

S. Eufemia. E’ una strada che prende il nome dalla chiesa ivi esistente dal 1° secolo dopo il Mille, quando furono rinvenute le spoglie della santa.

Cantone Caccialupo. Va sfatata certa leggenda secondo cui in quella strada si desse la caccia a qualche lupo feroce. Essa prende nome da Caccialupo, zecchiere del Duca Odoardo Farnese.

Vicolo Cortazza. Pare da una larga corsia, circo od arena dove i soldati si esercitavano al corso. Due tratti ad angolo retto che uniscono le vie S. Sisto e Borghetto. Il primo era detto un tempo “Della Baruffa”, il secondo “dei Falconi”

Vicolo Del Consiglio. Così chiamato perché durante il dominio dei Farnese e dei Borboni, aveva sede nel Palazzo Landi il Consiglio supremo di giustizia. Per motivi logistici lo si definiva anche Vicolo del tribunale.

Cantone Lampugnani. Detto popolarmente anche di “Spasacamèi” forse perché fu luogo di attività o di dimora di pulitori di cappe fumarie. Congiunge via Calzolai con via Mazzini ed assunse tale nome perché vi risiedevano i nobili Lampugnani, nell’edificio di proprietà dei conti Barattieri. Ebbe molta notorietà ai tempi delle “case di tolleranza” (di cui abbiamo già trattato ndr.). Vi sorgeva infatti uno dei postriboli di civettuolo richiamo “floreale”.

Cantone delle Asse. Congiunge via Beverora (zona che dobbiamo ancora trattare nel nostro blog...ci arriveremo) con via Castello. Quelle asse, più propriamente dette “palancole”, ossia tavoloni, erano travi spianate poste di traverso su un canale e consentivano il passaggio dei pedoni. Erano collocate appunto sul Canale Beverora che ancora agli inizi del ‘900 scorreva a cielo aperto in quella località.

Vicolo Benedettine (da non confondersi con l’omonima via) ora Vicolo del Guazzo, piazzaletto dell’attuale via Angelo Genocchi dove sorgeva l’antichissima chiesa di S. Agnese demolita nel 1919 dedicata ai pescatori e traghettatori del Po (di cui non sono mai riuscito a trovare una foto!!). Si prolungava fino al Cantone dei Buffalari così chiamato perché vi erano un tempo tenuti i bufali con cui si solcava il letto dei torrenti. Chiamasi Del Guazzo perché si dice (alcune guide lo confermano, altre no) vi fosse un lavatoio.

Chiudiamo questa panoramica con Molineria S.Andrea vicolo che congiunge “Strà Nova”, ultima propaggine di via Mazzini con via Campagna. Qui doveva esserci un molino, scorrendovi nei secoli passati un rivo detto “Piccinino”. La chiesa di S. Andrea demolita anni fa (per far posto ad un condominio) diede poi il nome al vicolo che sfocia in via Taverna, una specie di nostrano “carruggio” che allora, con tipica locuzione popolaresca, era indicato come “Cantòn ‘d Bigi” perché all’inizio del ‘900 vi si insediò la fonderia Giovanni Biggi sull’area stessa dove furono rasi al suolo, all’epoca della dominazione napoleonica, la chiesa dell’Annunziata e l’omonimo monastero, allargando così lo spazio ortivo già allora ubertoso.