Piacenza, una storia per volta

I nomi stravaganti che avevano strade, vicoli e cantoni: Cantone Dogana, Della Diligenza, Gandine e Potia

Un amico amava ripetere: «Sum nasì in dal cantòn ‘dla bundanza e ghemma seirpàr fam!». Ecco perché avevano questi nomi particolari le vie della città, una volta

Muntà di Ratt

Avanti tutta con il nostro periplo tra nomi vetusti e curiosità della nostre vecchie strade, proseguendo con Piazzetta della Frutta, o S. Gervaso perché dava accesso all’omonima chiesa abbattuta per far posto al mercato coperto in via Cittadella. Fu detta anche Piazza S. Marco dalla chiesa che in antico sorgeva all’angolo di via Cittadella e appunto Della frutta in quanto vi si esercitava tale mercato.

Cantone della Croce. Dal piazzale di S. Giovanni in Canale verso via Garibaldi. Prende nome da una grossa croce in ferro che campeggiava sul suo sfondo, davanti alla fiancata del tempio. C’è ancor oggi, ma attenzione, non è quella originale perché vi è stata posta nel 1950 come testimonianza dell’anno santo e non è stato possibile appurare se nel medesimo posto. Se sì, è per pura coincidenza. La denominazione si perde nei secoli, come ricorda il Poggiali nelle sue memorie. Certo il toponimo fu caro al popolo in quanto seppe resistere nel 1887 ad uno “sbattezzamento” di una commissione che lo voleva intitolare al giureconsulto Pietro Baldo che insegnò diritto nella nostra Università nel XIV° secolo.

Cantone De’ Degani. Popolarissima arteria-budello che allaccia via. S. Bartolomeo e Cantone S. Rocchino (forse un’antica chiesa?). Il nome deriva da un’antica famiglia il cui discendente lasciò nel 1641 cospicua parte dei suo beni all’Ospedale. Ma è popolarescamente nota anche come la strada dove vi era l’“Ort dal mu”t, “terreno di caccia” dei monelli per frutta e verdura.

Cantone Dogana. E’ l’attuale via Giordano Bruno e congiunge via Roma con via Benedettine dove si trovano l’ingresso della Procura e poi il muraglione delle carceri. Qui in età remota si trovava l’ufficio della Dogana con relativo magazzeno insediato in Palazzo Madama, fatto costruire da Margherita De’ Medici. Il recinto carcerario che lo inglobò fu realizzato nel 1889, prendendo il nome di Cà ‘D Tondi, essendo gestito o diretto da tal Tondi.

 

Cantone della Diligenza. L’attuale via S. Donnino. Si chiamava così perché vi era la posta delle diligenze, le vecchie vetture per il trasporto dei viaggiatori ad orari fissi. Prese l’attuale nome per il tempietto parrocchiale la cui facciata fu rifatta su disegno del prof. Guidotti nel 1889.

Cantone Fodesta. (Canton dal Gàs), ora via X Giugno.Si diparte dalla piazzetta di S. Martino in Foro (così chiamato perché vi sorgeva l’antico foro romano) e giunge serpeggiando dove sorgeva Porta Fodesta. Prese l’attuale denominazione per ricordare la cacciata degli Austriaci da Piacenza.

Cantone Gandine. Era fino ad alcuni decenni fa un tipico vicoletto rustico e tortuoso che collega via Scalabrini con via Gaspare Landi. Difficile stabilirne l’origine. Il Fermi non ne dà spiegazione, Rapetti la ipotizza dalla famiglia Gandini presente già nel secolo XII° di cui ricorda un cronista, Giulio ed un canonico, Luigi.

Piazzetta S. Giacomino. Il nome proviene dall’omonima chiesetta, una delle più antiche della città eretta nell’anno Mille. Si trova a crocevia tra via Maddalena (da un complesso conventuale, prima Della Mulineria) e via Castello. Vi si trovava l’osteria ‘d Tanèi, notissima per essere una vera e propria “tampa lirica” dove si esibivano amatori del bel canto tradizionale. Melodramma compreso.

Cantone del Pavone. Ora via Daveri tratto che va da via Romagnosi verso via Roma. Nome molto antico che deriva dal fatto che vi era ubicato uno degli alberghi più rinomati, quello appunto del Pavone, insegna assai diffusa in molte altre città italiane.

Vicolo Potia. Si tratta di quel vicoletto cieco cui si accede da Corso Vittorio Emanuele, dopo Cantone Tempio (da S. Maria del Tempio, chiesa vicina al palazzo dei Templari costruito di fronte alla Prefettura), una sorta di ghetto viario, di cui nessuna guida riporta l’origine del nome. Si sa che questa via “stoppa” nei primi dell’800 aveva, alla sinistra di chi vi entrava e alla sua estremità, un braccio che conduceva al Rio S. Siro, piccolo canale allora scoperto.

Cantone del Pozzo. Deve il suo nome ad un vecchio pozzo pubblico dal quale gli abitanti della borgata (porta Galera), prima dell’istallazione delle tubazioni dell’acqua potabile avvenuta tra fine ‘800 ed inizi del ‘900, si servivano per le necessità quotidiane. Cantone del Pozzo che si configurava per una sua fisionomia rustico-edilizia, caratterizzata da vicoletti, casupole con porticine ad arco, orticelli, bottegucce, portoni di stallaggi, bettolini, minuscole osterie dai nomi bizzarri, locanducce che pure avevano una loro tradizione alle spalle, sarà completamente distrutto dai bombardamenti e poi ricostruito.

Cantone Filanda. Da via Benedettine. Deve la sua denominazione all’esistenza di un filatoio attivo fin dall’epoca dei Farnese. Si ha notizia di una visita che gli fece Maria Luigia nel maggio 1816. Cessò l’attività nel 1886, entrato in crisi con il boom del cotone. Ma questo vicolo fu tema di molte argute “boutades” popolaresche, nonché di frizzanti stornellate di contenuto erotico. Infatti qui non si filavano solo lana e seta, ma altri “canovacci” da alcova mercenaria, poiché vi fu attivo, fino all’avvento della legge Merlin un confortevole postribolo.

Montà di Ratt, popolarissima scalinata che inizia all’incrocio di via S. Tomaso con via Mazzini e scende nell’ultimo tratto chiamato Stra Nòva. Il suo nome non deriva dai ratt (topi) che vi scorrazzavano ma dal nome dio un facoltoso casato, i Ratti, “zecchieri ed orefici”.

Chiudiamo (ma è prevista un’ultima puntata) con Cantone Abbondanza che collega via Trebbiola con Viale S. Ambrogio. Il nome deriva dal soppresso oratorio di S. Maria dell’Abbondanza. In tempo di guerra, ma anche molto prima, in tristi momenti di forte pauperismo sociale, era il “paese di Bengodi, di Cuccagna”; vi sorgeva quella specie di falansterio che fu la Sussistenza, ovvero il grande panificio militare e poi deposito di generi alimentari. Un amico anziano, da tempo scomparso, “maitre a penser” di una “storica borgata” di cui vantava con orgoglio l’humus popolaresco per l’assidua frequentazione di una notissima osteria, con una personale verve tutta piacentina, sovente condita di amara ironia, con a tratti “pennellate” di sarcasmo, ma ormai affermato rappresentante della facoltosa borghesia, era solito dire: “Sum nasì in dal cantòn ‘dla bundanza e ghemma (avevamo) seirpàr fam!”.