I preziosi testimoni del nostro passato: i pionieri della fotografia a Piacenza
Rendiamo omaggio ai precursori della tecnica e dell’arte (termine non utilizzato a sproposito) fotografica a Piacenza
Ricordo quasi con emozione quando, per la prima volta, ho inserito (oggi va meglio connesso) un cavetto dalla macchina fotografica digitale al computer e le immagini scattate quasi magicamente sono comparse sul mio schermo. Ho salvato quelle che mi servivano, poi le ho inviate al giornale, unitamente al mio articolo.
Sembra un secolo fa, sono passati in realtà solo circa 15 anni quando siamo stati liberati dalla “schiavitù” di dover correre in uno studio
Così oggi tra smartphone e “foto shop” tutti sono diventati fotografi provetti, con immagini da diffondere, sovente a sproposito, sui “social”; tanto fa tutto il “telefonino” ed al massimo, se l’immagine è imperfetta, la si corregge. Ma oggi se possiamo ancora contare su tante preziose testimonianze del nostro passato, lo dobbiamo ai primi fotografi, quelli che hanno operato a Piacenza dalla seconda metà del 1800 fino al primi decenni del ‘900. Poi la platea si ampliò e diventa complicato riuscirne a seguire l’evoluzione.
Così per un paio di puntate e soprattutto ripescando tante loro preziose immagini, vogliamo stavolta nel nostro blog rendere omaggio ai
Fu certamente uno dei primi che si cimentarono con le coloriture, adoperando appositi pennelli e sfumini per l’applicazione su “positivi” di acquetinte, tempere, oli diluiti nell’anilina. Con questo metodo era possibile conferire all’immagine, specie nei ritratti di qualche pomposo rango sociale, singolari effetti pittorici (fotocromatici) in momenti in cui la foto a colori era in avanzata fase sperimentale. Tale metodo di intervento manuale non era una novità, essendosi praticati fin dai primordi della tecnica fotografica. Ma fu attorno al 1890 che esso si diffuse in molti “atelier” anche provinciali, allorché l’operatore professionale si stava emancipando dalla prassi di approntare in proprie carte e lastre con emulsioni di gelatina e bromuro d’argento che erano ormai prodotte su larga scala commerciale dalle grandi industrie fotografiche, principalmente la Kodak. Nel 1888 infatti l’industrializzazione dei mezzi di ripresa e stampa aveva raggiunto notevoli livelli produttivi.
Le nuove tecniche ed i più ingegnosi ritrovati fisico-chimici come le lastre al bromuro, consentirono il dilagare del boom delle apparecchiature. Nacque nel frattempo la foto istantanea che permetteva più scatti; iniziò così e si diffuse il gusto attivo e curioso dell’immagine da riprendere nella realtà dinamica dell’ambiente urbano e naturale, per le strade, per le piazze, gli spazi dei borghi e dei
I fotografi professionisti accusarono il colpo del progresso e della diffusione dedicandosi con accanimento alla ritrattistica formato “gabinetto”, genere in cui non erano in grado di dedicarsi con perizia i dilettanti. Inoltre un altro evento tecnologico giocò a loro favore: attorno al 1890 entrò in scena il lampeggio al magnesio, tecnica di illuminazione che facilitava notevolmente le riprese della ritrattistica di studio in condizioni di chiarezza ed incisività non altrimenti raggiungibili.
Così le pose riprese prima con dispositivi antiquati (candele, petrolio, gas), diventarono quasi esclusiva dei professionisti per un pubblico che ambiva a conformarsi ai gusti elettivi della “belle epoque”; essi infatti diventarono imbattibili sul piano della qualità espressiva filtrata al vaglio di raffinati ritocchi e sfumature lenticolari.
Non risulta pertanto che i Morelli, i Caldi. i Gregori, i Carlotti, i Magnani, i Bonzi, i Fagnola (ad eccezione di Milani peraltro impegnato in riprese di genere prevalentemente paesistico e storico-monumentale) si siano dedicati alla cronaca della realtà sociale ed è per questo che sono rari gli scatti “popolareschi” della loro epoca; quando li troviamo, riguardano più che altro attività connesse alle industrie, ai commerci, ai trasporti, alla vita mondana, allo sport ecc; sono soprattutto di fotoamatori muniti di apparecchi da ripresa “istantanea”.
Allora chi fu il primo a Piacenza? Alcuni labili dati cronologici indicano Francesco Sidoli che, come si evince da un catalogo della “Mostra
Nel suo atelier si giungeva salendo una scala a chiocciola con quaranta gradini (la luce solare era abbondante solo ai piani più alti) in Strada Dritta dove fiorivano traffici e commerci legati ai gusti ed alle esigenze del bel mondo cittadino e quindi ad esso doveva far capo una clientela agiata e distinta come confermano i pochi ritratti formato “gabinetto” ancora reperibili e datati prima del 1870. Vi sono effigiate persone che dovevano indubbiamente appartenere ai ceti di elevate condizioni socio-culturali ed economiche. Oltre a signore dai tratti e dall’abbigliamento galante, vi si possono individuare personaggi dalle cui pose e fattezze fisiche esalava un alone di notabilità civica, “quasi da piccoli padri della Primogenita”, accanto a figure di ecclesiastici di dignitoso rango diocesano, sacerdoti dai cui volti promanava aria di decoro curiale, non dunque rozzi e scalcinati parroci di campagna e montagna di donabbondiana memoria.
Fu insomma l’età d’oro dei primi cacciatori d’immagini quella del Sidoli, il quale dai formati enormi del periodo sperimentale, era passato a quelli tascabili, da custodire nel portafoglio come le odierne carte d’identità. Sidoli era stato pure insignito di una onorificenza avendo brevettato, con il sistema Crozat, il doppio fondo fotografico.
(prosegue)