I Tansini: tre generazioni di fabbri e cantanti, con Ferruccio sindaco “di ferro”
Fra le figure più note che con la loro operosa presenza caratterizzarono lo scenario rionale di San Savino, assume un inconfondibile complessione umana e sociale, quella di Ferruccio Tansini, il fabbro ferraio di remota tradizione familiare
Fra le figure più note che con la loro operosa presenza caratterizzarono lo scenario rionale di S. Savino, assume un inconfondibile
Ma per rievocarne ed ambientarne l’immagine di vita, il ruolo di fiero e saggio popolano da lui rivestito in quella borgata di eccezionale entità storico-culturale le cui radici risalgono all’età delle incursioni barbariche durante il regno di Berengario, vanno inseriti nel filone tradizionale avente per epicentro la basilica di S. Savino, la sua cripta (o tiborio) fondata agli albori dell’anno 1000. Si tratta, com’è noto di un vero e proprio gioiello artistico così come questa basilica nelle cui adiacenze venne costruito un convento di benedettini; ma questi monaci custodi di venerate reliquie dal popolo, non erano, è proprio il caso di dire, “stinchi di santi”.
Infatti Leopoldo Cerri nella sua guida ai monumenti di Piacenza del 1908 riferiva che “a causa della rilassatezza” e indisciplina di questi frati, il monastero fu convertito in commenda, ossia in una forma di beneficio ecclesiastico soggett
Vicino a S. Savino, com’è noto c’erano (e ci sono tutt’ora) importanti palazzi nobiliari: da quello di Maruffi (dov’è ora la casa di riposo) denominato anche “palazzo dell’anello d’oro” essendovi stato murato nella facciata un grande anello di quel prezioso metallo, a Palazzo Costa. Questi edifici ubicati nell’attuale via Roma (che agli inizi del secolo si chiamava via Cavallotti o Stra ‘d Suar perché quella sotto era via Alberoni), altro non erano che le quinte aristocratiche della borgata S. Savino. Ovvio che chiesa, conventi e palazzi facessero ricorso a “fabbri- artisti” della borgata, quali erano appunto i Tansini.
Ferruccio (che poi divenne sindaco) non fu soltanto il fabbro ferraio per antonomasia di quella tipica comunità sansaviniana che si enucleava nell’arteria intensamente animata di via Alberoni, ma fu personaggio di versatile attivismo sia nel campo della lirica
Troppo lungo sarebbe spiegare il perché Tansini, in altre faccende affaccendato, dovette accomiatarsi dalle scene. Erano tempi durissimi, e si imponevano scelte risolutive. E non soltanto sul piano professionale, ma anche su quello idelogico-sociale. Inoltre la sua bottega non era quella di un qualunque, benché alacre e prestigioso fabbro-ferraio: aveva alle spalle una tradizione plurisecolare tramandata di padre in figlio. Aveva 11 anni quando andò a bottega dal padre Angelo, succeduto a Luigi e questi al genitore la cui ascendenza dinastica si può rintracciare andando molto indietro nel tempo, quando l’artigianato febbrile piacentino registrò una fioritura di elevato rango artistico.
In quarant’anni di ininterrotto lavoro per maestria e laboriosità di forgiatore, Ferruccio fu ritenuto proto-fabbro per definizione civica. Oltre a manufatti di ordinaria forgiatura (quali cancelli, balconi, casseforti, ringhiere, roste, inferriate, perfino chassis di carrozze), egli produsse diversi arredi di varia funzionalità decorativa: balaustre, lampadari, croci, anfore, vasi, pregevoli infissi decorativi per dimore e rispettivo mobilio, secondo i gusti dei committenti, negli stili eclettici, specialmente in versione floreale, quando la “belle epoque” aveva fatto
Per quanto riguarda la passione per il bel canto lirico, dobbiamo precisare che il suo debutto come cantante risale al 2 settembre 1899 al teatro sociale di Feltre, nella parte di Valentino. Questa passione il “fabbro armonioso” la ereditò dallo zio il basso Giovanni Tansini giudicato sullo scorcio del secolo una delle più belle voci del tempo, cantante di elevata reputazione sul piano internazionale, celebre anche per la vastità del repertorio, per i successi mietuti in quarant’anni di carriera. Fra i più noti, quelli conseguiti in Russia dove cantò anche alla presenza dello Zar.
Non è neppure semplice condensare in una nota rievocativa la travagliata ed impavida attività svolta da Ferruccio Tansini nel periodo pioneristico del socialismo piacentino ed in quello che nel primo dopoguerra (1919) ne contrassegnò il trionfo popolare; quindi la forzosa decadenza dovuta, com’è noto, all’avvento del fascismo, con le peculiarità e le forme repressive che tale movimento assunse anche a Piacenza.
Ferruccio socialista di schietta matrice popolare, largamente stimato e benvoluto forse perché era più personaggio di fatti concreti che di vuote parole, collegato al realismo minuto della quotidianità più che a nebulose ideologie tipiche di certi tribuni allora designati con
Il popolino non tardò a soprannominarlo “sindaco di ferro” non tanto per la grinta politico-amministrativa, quanto per ovvio riferimento metaforico alla sua professione di fabbro ferraio, ma non disgiunta dai suoi comportamenti. Infatti mantenne tale carica con ineccepibile onesta, fermezza e correttezza, fino all’agosto del 1922, allorché a causa delle violente sopraffazioni operate dallo squadrismo fascista, l’intera giunta fu costretta a dimettersi. Ferruccio Tansini che non abiurò mai alle sue idee socialiste, subì aggressioni, insulti, minacce. Nel marzo 1922 fu bastonato da una ventina di scalmanati in via Sopramuro. L’intervento delle guardie regie servì a porre fine a quelle brutali violenze e lo sottrasse al peggio. Era la fine di un’epoca, cominciava quella del regime fascista. Tansini tornò alla sua attività di fabbro-ferraio. Essendo uomo pratico ed irriducibile idealista sociale, il regime ritenne almeno di lasciarlo lavorare in pace, avendo due figli da allevare. La sua fede nel socialismo, anche negli anni del tripudio totalitario, non mutò mai, né voltò bandiera. Uomo “di ferro” in tutti i sensi. Nel 1985 suo figlio Angelo ricoprì la medesima carica.