Piacenza, una storia per volta

Nel 1920 si apre l’epoca del cinema “moderno” a Piacenza

cinema Roma in piazza Cavalli

Nel periodo antecedente la prima guerra mondiale aprirono i battenti altri cinematografi cittadini: il Kursal, ubicato in Piazza Cittadella a ridosso del vecchio mercato coperto. Era un locale di discreta qualità, con specchi e poltrone di velluto ed addirittura, all’ingresso, un piccolo bar. Grazie ad Angiolo Martini, prezioso testimone della piacenza che fu, poliedrico artista e appassionato collezionista, ne abbiamo conservato un’immagine pubblicitaria.

 

Era gestito dal signor Icardi e fu in grande voga per un paio di stagioni, tra il 1908 ed il 1910. Sembra che al Kursaal siano andati inscena anche spettacoli musicali, con le ballerine che crearono amori e scompiglio presso qualche danaroso frequentatore. Insomma il Kursal, pur nella sua breve esistenza, divenne per questo breve lasso di tempo, un punto di riferimento della mondanità, piacentina, insinuando, nella nostra sonnolenta e nebbiosa città, i fremiti di un’effimera "belle epoque".

Il primo settembre 1911, in piazza Duomo, dove per decenni fu in attività la popolare trattoria "dal Prètu"(di cui abbiamo ampiamente trattato), fu inaugurato il "cinematografo Edison" per iniziativa di Ettore Bianchi ed Augusto Fraccalossi, due forestieri che tentarono la fortuna a Piacenza, ma con scarsi risultati. Infatti "L’Edison" chiuse i battenti dopo pochi anni. Più lunga durata (anche dopo il periodo bellico) l’ebbe invece il "Roma", inaugurato nel 1912. Era in Piazza Cavalli, al primo e secondo piano successivamente occupato dal "Banco di Roma". Era gestito dalla marchesa Zambelli Dalla Rosa ed era quindi frequentato dalla buona borghesia cittadina, con le più recenti pellicole.

A quei tempi, a far pubblicità ai film, non c’erano né manifesti, né provini, ma imbonitori che invitavano il pubblico ad entrare. Nella memoria popolare permase a lungo Lorenzo Calza, personaggio estroverso, dotato di eccellente loquela, noto piazzista, che conquistò con la sua simpatia e savoir- faire la marchesa che lo volle come uomo di fiducia per il cinema ed, appunto, pubblicitario “ante litteram”. Ne tratteremo quando parleremo del centro storico dove accanto a nobili, borghesi e bottegai, c’erano appunto personaggi assai conosciuti come la Bandòta (custode dei gabinetti pubblici) ed appunto il Calza.

Più “proletarie” erano la sala "Excelsior" di via Guastafredda ed il cinema "Eden" aperto il 2 marzo del 1913 in piazza Cittadella nella famosa "Balera ‘d Gilè", immortalata da Valente Faustini in una sua celebre poesia. L’"Excelsior", come imbonitore, poteva invece contare sul popolare “Ciro”, una simpatica macchietta che sapeva facilmente convincere i titubanti; oltre al cinema, l’Excelsior ospitò anche discrete compagnie di prosa. Ciro, che abbiamo ricordato in uno degli articoli dedicati a “Porta Galera” come una “macchietta” mancante di un dente perché colpito con un pitale da una suora dell’ospedale cui aveva rivolto ardite galanterie, alla stregua degli strilloni di giornali, distribuiva locandine con i programmi dei film e degli avanspettacoli che vi si rappresentavano con nomi di cartello nazionale.

Venne la guerra e bisognava far divertire i soldati sempre numerosissimi nella nostra città: in concorrenza all’Excelsior, aprì il cinema Verdi, noto più tardi anche con il nome di “Salon Rosa” (locale da ballo) che venne ricavato nella vecchia chiesetta sconsacrata di S. Matteo nel vicolo omonimo di via Taverna e che proseguì la sua attività fino alla vigilia della 2° guerra mondiale.

 

Di questo cinema i più anziani piacentini di Stra ‘l’va ricordavano gustosi aneddoti. In vicolo San Matteo, davanti al "Verdi", stazionava “‘l Moru" il venditore di castagnaccio. Tanti ricordavano il soprannome di "Sisàlla", il vecchietto che dopo aver effettuato il controllo dei biglietti aveva anche il compito di sorvegliare l’interno della sala durante le proiezioni. Spesso e volentieri durante le proiezioni era una specie di bolgia con monelli che scorazzavano, altri che litigavano tra di loro, altri ancora che facevano scherzi, spesso pesantissimi, a chi tentava di vedere il film. Tant’è che il "Sisàlla", per poter consentire un minimo di ordine girava “armato” di una bacchetta di legno che non indugiava a picchiare sulle gambe e sulla schiena dei più scalmanati.

Il nostro maggior critico cinematografico Giulio Cattivelli ricordava che “il Verdi era minuscolo e scalcinato, dall’atrio al palcoscenico, all’angusta galleria dove gli spettatori più alti toccavano con la testa il soffitto decorato di muffa e di ragnatele. Vi regnava l’odore delle vecchie caserme, mescolato ad altre meno gradevoli emanazioni. Eppure quel palcoscenico proletario (o forse sottoproletario…) ebbe il suo quarto d’ora di celebrità ospitando a poche lire per serata, modesti emuli di Gabrè, lontani precursori di Delia Scala, Rascel e Walter Chiari. Erano strani personaggi che si producevano sempre in coppia, lui in sparato candido e coda di rondine, solino a punte divaricate, gardenia all’occhiello; lei con la chioma disciplinata da un nastro di velluto, scarpe di vernice nera sopra calze bianche da educanda ed indescrivibili abiti a mezz’asta rigidi e luccicanti come i paramenti delle chiese. Le pudiche soubrettes d’allora danzavano inguainate dal busto, con costumi di maglia rosa simulanti il tenero color carnicino”.

Fra i nomi di gran cartello figuravano- in chiave floreale- quelli di Alberto del Cigno. Olga Celeste, Les Sesi-Poupèes, Stella Bonaria e via dicendo. Annotava sempre Cattivelli:” Il duo Oddo Ferretti lanciò il “choclo”, nuovo tango argentino e i Giglio Fleurs, duettisti eccentrici, mandavano in solluchero le platee grigioverdi reclamanti “la mossa”.

Poi calò il sipario sullo schermo ormai polveroso del Verdi; non più spettacoli d’arte varia, non più proiezioni di pellicole comiche, ma languide e voluttuose danze ai ritmi di orchestrine vernacole: si trasformò nell’intimistico “Salon Rosa”. Il 1920 è un anno cruciale nella storia del cinema di Piacenza. Infatti è l’anno in cui "l'Iris" di via Garibaldi cambiò ancora nome, per assumere quello della via che conserverà fino agli anni 70. E’ anche l’anno in cui, il 1° luglio, venne inaugurato il cinema "Iris" di strada San Raimondo, la prima lussuosa sala cinematografica intesa in senso moderno ed ancora successivamente trasformato.

Il cinema "Excelsior" di via Guastafredda, dopo la fine della prima guerra mondiale, cessata l’ondata di militari di stanza a Piacenza, chiuse i battenti. Venne trasformato in magazzino di vini. Nel 1926, aprì il cinema-teatro "Farnese" a Barriera Roma, nei pressi dei "Magazzini Generali Comunali", ma non ebbe fortuna soprattutto a causa della sua ubicazione, all’epoca eccessivamente periferica che certamente non favoriva un sufficiente afflusso di spettatori. Intanto, anche per altri locali era giunta la triste ora del tramonto definitivo. "l'Eden" di piazza Cittadella chiuse assieme alla "Balera ‘d Gilè". Il "Roma" di piazza Cavalli chiuse nel 1926 travolto dalla crisi del cinema muto. I gusti del pubblico si erano evoluti e si erano adeguati all’avanzare della tecnica. Ormai era arrivato il sonoro.

 

Oreste Leonardi, il pioniere dei cinema piacentini, ebbe due figli, Carlo e Francesco. Il primo era il papà di Giancarlo Leonardi, titolare poi di quasi tutte le sale cinematografiche cittadine. I Leonardi, dal 1929, ebbero in affitto anche un altro importante locale piacentino, il "Politeama" struttura inaugurata nel febbraio 1883 su progetto dell’ing. Perreau. Vi si svolgevano spettacoli di prosa, di lirica, di rivista, persino esibizioni circensi; ed ancora riunioni di boxe, adunate fasciste, celebrazioni di regime, operette, pièces goliardiche e, ovviamente, anche il cinema.

In origine, l’interno del "Politeama" era costituito da una vasta platea, due ordini di gallerie ed un loggione. Nel corso degli anni anche la struttura originaria del "Politeama" cambiò volto. Passato in gestione al dott. Bruno Bergonzi, rinuncerà ai romantici palchetti che avevano visto tanti festeggiamenti quando la città si fermava per il Carnevale, ingrandendo la platea e trasformandosi in un cine-teatro in linea con il progresso dei tempi e alle accresciute esigenze degli spettatori.

Nel 1929 la capienza venne aumentata; ancora più radicale l’intervento portato a termini nel 1947 quando dall’interno della sala scomparvero le gallerie ed il loggione per lasciar posto ad una struttura molto simile a quella attuale.  Ma di questo, dell’evoluzione ulteriore dei cinema cittadini, dei nuovi (Roma e Plaza), di quelli parrocchiali, con la preziosa testimonianza diretta di un proiezionista per lunghi anni al Politeama ed al Corso, Alessandro Manfredi, tratteremo nella terza ed ultima puntata.


Si parla di