Armi e droga, assolto dalle accuse l’albanese
Venne arrestato nel 2017 dalla Finanza. I giudici lo condannano solo per la ricettazione a tre anni, ma essendo stato già in carcere per un anno, è subito tornato in libertà. Condannato per ricettazione anche il suo socio piacentino, i due avevano un’impresa di trasporti. A denunciare l’albanese e suo fratello fu lo zio
Niente armi, né droga. Adriatik Merhori, 46 anni, è stato assolto dalle accuse più pesanti e condannato a 3 anni solo per la ricettazione di elettrodomestici e scarpe trovate nel suo magazzino. L’uomo, attualmente era ai domiciliari e aveva il braccialetto elettronico, è stato rimesso subito in libertà. Il collegio presieduto da Stefano Brusati, con Sonia Caravelli e Fiammetta Modica, dopo due ore e mezzo di camera di consiglio, ha condannato a due anni, sempre per ricettazione (unico reato di cui doveva rispondere) anche Alessio Boselli, 47 anni, socio di Adriatik nella ditta di trasporti Adelaide. Soddisfatto l’avvocato Mauro Pontini, difensore di Merhori, che si è visto accogliere la richiesta di assoluzione per i gravi reati che gli venivano contestati: concorso in detenzione ai fini di spaccio, detenzione di armi e munizioni, ricettazione delle armi. Il pm Antonio Colonna aveva chiesto per lui la condanna a 13 anni. «Abbiamo sempre sostenuto che c’entrasse nulla - ha affermato Pontini - con droga e armi, né sapeva che si trovassero nella casa a San Lazzaro. Come aveva sostenuto anche il fratello Altin, un testimone credibile».
Inoltre, per la difesa - Merhori era assistito anche da Vittorio Antonini - in una intercettazione ritenuta importante si sarebbe parlato di una pistola «ma quella parola non è mai stata pronunciata». La casa di Adriatik, poi, non è mai stata perquisita da nessuno, nonostante lui era accusato di detenere armi e droga. E nessuno, anche il Ris di Parma, ha mai eseguito una perizia sulle due pistole ritrovate in casa». Adriatik non è mai stato visto da nessuno in via Sacconi, a San Lazzaro, dove la casa sarebbe stata affittata per sei anni «e il proprietario ha sempre detto di aver visto solo Altin, che pagava regolarmente. Secondo la Finanza, Roland Kulla (un albanese poi arrestato per spaccio) era sotto inchiesta da due anni da parte dei carabinieri di Pavia, «ma il nome di Adriatik non emerge mai. I due si sentono solo in una telefonata, quando Adriatik gli dice che era stato arrestato il fratello».
I difensori hanno puntato sull’attendibilità di Altin, ritenuto invece non credibile dal pm. Così come il racconto dello zio presenterebbe alcune anomalie, anche lo zio stesse non sarebbe stato un teste trasparente. «Durante la denuncia - ricorda Pontini - parla, firma e rilegge il verbale della Finanza. Poi arriva in aula e dice di non conoscere l’italiano, chiedendo un interprete». Sul silenzio tenuto da Adriatik - e più volte sottolineato da Colonna, secondo il quale se uno è innocente lo urlerebbe - Pontini ha affermato che se uno sa che c’è la droga in casa, non ha l’obbligo di dirlo, non è un poliziotto «è un comportamento omissivo. E poi, se anche Adriatik avesse saputo che cosa stesse facendo Altin questo non è mai emerso».