Cronaca

Caruso alla cena della 'ndrangheta: «Ogni uomo ha un prezzo»

Secondo la Dda di Bologna l'esponente piacentino di Fratelli d'Italia sarebbe parte integrante dell'organizzazione criminale che operava tra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Decine le intercettazioni e le immagini che lo ritraggono insieme ai vertici mafiosi

Cena a Castelbelforte (MN) tra i vertici di ‘ndrangheta (Grande Aracri Salvatore, CARUSO Giuseppe, CARUSO Albino e MUTO Francesco) e amministratori della Riso Roncaia spa

C'è anche il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso, esponente di lungo corso di Fratelli d’Italia, tra i destinatari delle misure contro presunti appartenenti alle famiglie di 'ndrangheta legate ai Grande Aracri. Caruso, secondo gli investigatori della Polizia, sarebbe parte integrante dell'organizzazione criminale che operava tra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e che aveva ai vertici soggetti considerati di primo piano come Salvatore Grande Aracri, Francesco Grande Aracri e Paolo Grande Aracri. Tra gli arrestati c'è anche il fratello Albino. Secondo l'accusa, il presidente del Consiglio comunale piacentino, in qualità di dirigente dell'ufficio dogane di Piacenza, sarebbe accusato di aver agevolato una truffa per far ottenere fondi europei all'organizzazione 'ndranghetista. Attualmente Caruso si trova nel carcere delle Novate. 

I FRATELLI CARUSO

Nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Bologna, Alberto Ziroldi, i fratelli Albino, 57 anni, e Giuseppe Caruso (58) - entrambi in carcere a Piacenza - con altre persone arrestate, scrive che erano «in costante sinergia con i vertici del sodalizio fornivano un costante contributo per la vita dell’associazione». L’associazione è la cosca ‘ndranghetista dei Grandi Aracri. Sempre secondo il giudice - sulla base delle richieste dei pm della Dda di Bologna e delle informazioni provenienti dalle indagini del 2015 - i due avrebbero partecipato «alle riunioni degli esponenti della consorteria in occasione dei quali venivano pianificate le condotte criminose della cosca e prese le decisioni fondamentali per il rafforzamento e il mantenimento della stessa». Un quadro sconcertante quello in cui viene raffigurato l’attuale presidente del Consiglio comunale di Piacenza.

E ancora, i fratelli entrambi accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, avrebbero partecipato «a riunioni per dirimere conflitti con soggetti esterni alla struttura ‘ndranghetistica emiliana». I due avrebbero anche lavorato per «allargare l’espansione del sodalizio entro il sistema economico emiliano». Il funzionario delle Dogane, inoltre, avrebbe messo «stabilmente a disposizione le prerogative, i rapporti professionali e amicali, gli strumenti connessi alla propria attività lavorativa di dipendente dell’Ufficio delle Dogane di Piacenza per il perseguimento degli interessi del sodalizio emiliano». E Giuseppe Caruso avrebbe in più occasioni vantato di aver un certo potere e di essere un punto di riferimento per “risolvere alcuni problemi” - in seguito si vedrà come il suo interessamento venisse remunerato con i soldi - tanto che in una telefonata, registrata l’8 settembre 2015 dalla Squadra mobile di Bologna che lo seguiva (sulla sua auto era anche stato installato un sistema Gps): «Perché io ho mille amicizie … da tutte le parti … bancari … oleifici … industriali, tutto quello che vuoi … quindi io so dove bussare … quindi se tu mi tieni esterno ti dà vantaggio, se tu mi immischi … dopo che hai immischiato … e mi hai bruciato … è finita … perché la gente ti chiude le porte».

 

Giuseppe Caruso, inoltre, è accusato di truffa perché avrebbe ingannato i vertici di Riso Roncaia spa (che avendo guai finanziari si erano affidati alla cosca) facendo credere loro di poter ottenere finanziamenti grazie a contatti e conoscenze. I fratelli Roncaia si erano affidati a Caruso, il quale, secondo le accuse della Dda, gli presentò un dipendente del Banco popolare di Lodi: l’azienda risicola chiedeva un finanziamento di 5,5 milioni, per non perdere un bando europeo, erogato da Agea, per la fornitura di riso. Gl industriali avrebbero “ricompensato” Caruso e il funzionario di banca con 28mila euro. Tutto questo, sottolinea il gip, «incassando somme di denaro senza che quanto promesso si realizzasse e non restituendo le stesse quando ai Roncaia è stato chiaro che erano stati ingannati». In questa vicenda, poi, a Caruso e al fratello Albino - insieme con Salvatore Grande Aracri (in posizione di vertice) Francesco Muto, Claudio Bologna, Giuseppe Dtrangio e Domenico Spagnolo - viene contestata anche l’estorsione perché, in vari incontri nel Mantovano e nella sede del Riso Roncaia, il gruppo avrebbe agito con «minacce, anche larvate, evocando la forza di intimidazione del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano e facendo avvertire come concreta la possibilità del ricorso a ritorsioni, rappresaglie e atti di coercizione fisica».

OPERAZIONE GRIMILDE

La Polizia di Stato di Bologna, in collaborazione con quella di Parma, Reggio Emilia, Piacenza e con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo, ha esegutio una vasta operazione nei confronti del sodalizio 'ndranghetistico operante in Emilia, storicamente legato alla famiglia mafiosa dei Grande Aracri di Cutro. I provvedimenti, emessi dal Gip del Tribunale di Bologna su richiesta della Dda, sono eseguiti dai poliziotti della squadra mobile di Bologna in collaborazione con quelle di Parma, Reggio Emilia e Piacenza in varie province dell'Emilia Romagna. Nell’ambito dell’operazione, denominata Grimilde, sono impegnati circa 300 tra donne e uomini della Polizia di Stato appartenenti a tutti gli Uffici investigativi dellEmilia Romagna, al Reparto Mobile di Bologna, al Reparto volo Emilia Romagna, al Reparto Prevenzione Crimine Emilia Romagna, alle Unità Cinofile della Polizia di Stato. Sono in corso di esecuzione, in varie città d'Italia, anche cento perquisizioni nei confronti di coloro che pur non essendo direttamente destinatari del provvedimento restrittivo emesso dall’Autorità Giudiziaria di Bologna sono risultati, nel corso dell’indagine, collegati al gruppo 'ndranghetistico operante in Emilia Romagna. I destinatari del provvedimento restrittivo sono accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, danneggiamento, truffa aggravata dalle finalità mafiose. 

La relazione della Dia sulle cosche operative in Emilia-Romagna


Si parla di