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Galleria Alberoni, proiezione del film "Monsieur Vincent" e visita alla mostra

Domenica 11 febbraio 2018 è previsto il sesto evento collaterale alla mostra “I colori della Carità. San Vincenzo de’ Paoli nei capolavori dell’arte italiana tra ‘700 e ‘900”, che porta il grande cinema nella Sala degli Arazzi della Galleria Alberoni.

Alle ore 17.30 è infatti prevista la proiezione del film Monsieur Vincent, capolavoro di Maurice Cloche, realizzato nel 1947 e vincitore del Premio Oscar nel 1949, che narra la straordinaria azione sociale di Vincenzo de’ Paoli nella Francia del Seicento.

Sarà proiettata la versione recentemente restaurata. Si tratta di un’occasione da non perdere per vedere un film d’autore, difficilmente reperibile.

Alla proiezione seguirà il dibattito.

Prima della proiezione del film, alle ore 16, avrà inizio una visita guidata alla mostra I colori della Carità e ai capolavori artistico del Collegio Alberoni, (ingresso ridotto €. 4,50) che offrirà ai visitatori la possibilità di un vero e proprio viaggio all’interno della narrazione artistica della vita di Vincenzo de’ Paoli, dai dipinti del Sette e dell’Ottocento fino al cinema del Novecento.

Protagonista del film, i cui dialoghi furono scritti da Jean Anouilh, importantissimo drammaturgo e sceneggiatore francese, è Pierre Fresnay, grande attore francese che si convertì al cattolicesimo proprio durante la preparazione e le riprese.

Il film fu concepito, a partire dal 1942, in un momento buio della Francia oppressa dalla guerra, per infondere nel popolo francese la speranza e il desiderio di superare i disastri causati dal conflitto, rievocando la figura di un francese che dedicò tutta la sua esistenza a porre rimedio alle distruzioni che incontrava.

La pellicola ottenne numerosi riconoscimenti: il Grand Prix du Cinéma Français, il Premio Internazionale per la migliore interpretazione maschile alla Biennale di Venezia per Pierre Fresnay e la nomination per il Leone d’oro nel 1947, il Premio Oscar come miglior film straniero e la nomination quale miglior film al Premio Bafta (British Academy Film Awards) nel 1949, la nomination quale miglior film promotore di amicizia internazionale al Golden Globe del 1950.

Resta come un modello di autentico cinema semplice, profondo e realistico.

GALLERIA ALBERONI, ORE 16

Visita guidata alla mostra "I colori della carità" e ai capolavori artistici del Collegio Alberoni

Ingresso ridotto €. 4,50

La proiezione sarà preceduta alle ore 16 da una visita guidata a ingresso ridotto alla mostra I colori della carità e al Collegio Alberoni. I visitatori portano così compiere un percorso tra i capolavori dell’arte italiana del Sette e dell’Ottocento che narrano vita e carisma di Vincenzo de’ Paoli per giungere fino al Novecento con il racconto cinematografico dell’impegno sociale del santo.

N.B.

Domenica 11 febbraio 2018 la visita guidata delle ore 17.15 non si terrà per permettere la proiezione del film; le visite libere alla mostra, per lo stesso motivo, si concluderanno alle ore 17.30

Gli spettatori del film, al termine della proiezione, potranno visitare gratuitamente la mostra.

NUOVA APERTURA STRAORDINARIA DELLA GALLERIA ALBERONI DA VENERDI’ A DOMENICA POMERIGGIO. PERCORSI ACCOMPAGNATI E VISITE GUIDATE

In occasione della mostra I colori della Carità l’Opera Pia Alberoni ha programmato una nuova apertura straordinaria della Galleria e del Collegio che saranno pertanto visitabili dal 17 febbraio al 25 febbraio 2018 il venerdì, il sabato e la domenica pomeriggio.

La mostra sarà liberamente visitabile venerdì, sabato e domenica dalle ore 15.00 alle ore 18.30. Il Collegio Alberoni (Ecce Homo di Antonello da Messina, Appartamento del Cardinale, Biblioteca Monumentale) sarà visitabile solo con percorso accompagnato o visita guidata.

VENERDI’ E SABATO
Partenza ore 16.00 e ore 17.00

Percorsi accompagnati alla mostra, alle opere vincenziane custodite in Collegio e al patrimonio artistico alberoniano (Ecce Homo di Antonello da Messina, Appartamento del Cardinale, Biblioteca Monumentale)

DOMENICA
Partenza ore 16 e ore 17.15

Visita guidata alla mostra, alle opere vincenziane custodite in Collegio e al patrimonio artistico alberoniano (Ecce Homo di Antonello da Messina, Appartamento del Cardinale, Biblioteca Monumentale)

Biglietti

Visita libera alla mostra € 4,50
Percorsi accompagnati e visite guidate € 6,00
Visite guidate negli eventi collaterali € 4,50

I gruppi di visitatori di almeno 15 persone possono prenotare visite guidate alla mostra in qualsiasi giorno della settimana - Ingresso ridotto € 4,50 + € 50 per la guida

Informazioni

Galleria Alberoni, Via Emilia Parmense, 67 - 0523 322635 - 349 4575709 - 392 1530734 - info@collegioalberoni.it www.collegioalberoni.it

Monsieur Vincent - Scheda filmografica di Padre Erminio Antonello
Anno di produzione: 1947
Durata: 91 minuti
Regìa: Maurice Cloche
Soggetto e sceneggiatura: Jean Anouilh
Fotografia: Claude Renoir
Montaggio: Jean Feyte
Musiche: Jean Jacques Grunewald
Scenografia: René Renoux e Robert Turlure

La pellicola ottenne numerosi riconoscimenti: il Grand Prix du Cinéma Français, il Premio Internazionale per la migliore interpretazione maschile alla Biennale di Venezia per Pierre Fresnay e la nomination per il Leone d’oro nel 1947, il Premio Oscar come miglior film straniero e la nomination quale miglior film al Premio Bafta (British Academy Film Awards) nel 1949, la nomination quale miglior film promotore di amicizia internazionale al Golden Globe del 1950.

Per le generazioni degli ultimi settant’anni pensare a san Vincenzo vuol dire richiamare alla memoria il volto dell’attore Pierre Fresnay nel film Monsieur Vincent. Interpretandolo lo ha caratterizzato in maniera geniale. Ha coinvolto se stesso nella vicenda esistenziale e umana di san Vincenzo, facendola sua, al punto che l’impatto dell’interpretazione lo ha condotto a convertirsi al cattolicesimo proprio durante le riprese del film.

Pierre Fresnay non si è limitato a interpretare san Vincenzo, ma l’ha fatto rivivere (gesti, intonazione della voce, sentimenti, umanità, energia e amabilità) con un immane sforzo fisico, psicologico e morale per assomigliargli il più possibile. E’ riuscito a farne emergere la personalità soprattutto nei primi piani, attraverso la profondità degli sguardi e l’energia della parola.

Le parole gliele ha selezionate e trasformate in un linguaggio immediato e provocante uno dei maggiori drammaturghi dell’epoca, Jean Anouilh. I dialoghi sono un capolavoro per la densità del loro contenuto: in essi è raccolto, in breve, il pensiero vincenziano sulla carità. Prima di scriverli l’autore si è immerso per due anni e mezzo nello studio degli scritti di san Vincenzo, ma non ne ha ripetuto le parole. Ha invece dato nuova voce a parole antiche, traducendo la radicalità dell’esperienza evangelica di san Vincenzo con un linguaggio fresco, senza cadere in luoghi comuni o retorici.

Il progetto di un film su san Vincenzo nacque nel 1942. In quel triste momento della Seconda Guerra Mondiale, in cui la Francia era invasa dai tedeschi, Maurice Cloche ebbe l’idea di innalzare un monumento cinematografico alla figura di un altro francese del XVII secolo che aveva operato per ridare fiato alle speranze della Francia travagliata dalle guerre e dalla fame. Fu così che san Vincenzo de’ Paoli è entrato nella storia del cinema.

Maurice Cloche non ha inteso trascrivere sullo schermo la biografia di san Vincenzo, ma ha cercato di sottolineare lo sviluppo della sua “conversione spirituale” a partire dalle realtà socio-economiche e politiche dell’epoca. Con uno scopo preciso: rendere viva, attuale e dinamica, la figura di un santo vissuto oltre trecento anni prima.

La pellicola fu realizzata con mezzi modesti: personaggi ripetuti, attori in più ruoli, scenari poco grandiosi. La situazione di povertà, dovuta ai postumi della Seconda Guerra Mondiale, e la tecnica del film ancora ai primi passi, non permettevano una produzione visivamente più accattivante. Tuttavia questo limite, attraverso i chiaroscuri del bianco e nero, ha impresso nelle sequenze del film un’atmosfera più intima e sentita, che ben si coordina con la narrazione della storia di un’umanità dolente.

La sceneggiatura

Il film non è la narrazione della biografia di san Vincenzo. Piuttosto, attraverso alcune scene, scelte con accuratezza, vuole raccontare la genesi della sua passione caritativa. Ne narra lo sviluppo attraverso una sceneggiatura di sorprendente semplicità narrativa, servendosi di una serie di grandi quadri che fanno riferimento ad alcuni eventi della vita di san Vincenzo. L’intensità del racconto porta lo spettatore a immergersi nella condizione di povertà del tempo, con l’evidente scopo non di illustrarne la storia, ma di far nascere la condivisione con l’avventura caritativa del protagonista.

E’ un film dunque di forte impatto sociale e spirituale. Narrando la situazione di povertà del popolo francese del XVII secolo, il regista si serve del protagonista come di una lente per mostrare che la povertà può essere debellata. Il protagonista, assorbito emotivamente da quella miseria, cambia se stesso man mano che la incontra. Il film infatti non indugia nella descrizione della povertà, ma ne trasfigura la scena attraverso la lenta trasformazione della coscienza dell’uomo Vincenzo di fronte a quella miseria. Nel film non si dice dunque tutto quello che Vincenzo ha fatto in una specie di sequenza cronologica, ma il regista vuole portare lo spettatore a sentire che quella miseria non appartiene solo a un passato lontano, ma è la miseria di sempre da cui la coscienza di ogni uomo deve lasciarsi interpellare.

Il film inizia con una fuga: quella di Vincenzo dalla casa nobiliare dei Gondi di Parigi, dove fino ad allora aveva esercitato il compito di precettore dei figli. Queste prime scene permettono al regista di mettere in luce il punto saliente del cambiamento radicale della sua vita. Vincenzo lascia con un taglio netto la vita comoda, che fino ad allora aveva perseguito, per dedicarsi alla povera gente della campagna. Ecco allora che di sorpresa arriva in un paese del meridione della Francia, Châtillon-les-Dombes. Il paese ha abbandonato la fede. Gli ugonotti si sono impadroniti del villaggio e si sono rinchiusi nei loro palazzi per evitare la peste che imperversa e genera paura in tutti gli abitanti barricati nelle case. Vincenzo sfida la peste e salva una bambina che sarebbe morta se lui non fosse arrivato. Non solo, ma riesce a organizzare la carità verso i più poveri del paese. L’allusione è al fatto reale della fondazione della prima Compagnia della Carità, avvenuta storicamente proprio a Châtillon-les-Dombes nel 1617.

In queste prime scene il regista presenta il personaggio giocando sulla contrapposizione tra la sicurezza di Vincenzo nell’affrontare la peste e la neghittosità dei nobili rinchiusi nei loro castelli. In nome della fede risveglia questa popolazione e la rimette in movimento. Ma ben presto questa sicurezza comincia ad entrare in crisi. La coscienza di Vincenzo deve maturare in senso realista e penetrare la drammaticità della miseria umana.

Sintomatica e centrale per l’economia del racconto è la scena che situa Vincenzo in una soffitta di Parigi. Da questo angolo oscuro, durante la notte può sentire il grido dei poveri, che lavorano, soffrono, cercano una briciola di felicità e si dannano la vita. Questa esperienza di prima mano è la porta d’ingresso per entrare in sintonia con quella miseria e accorgersi di quanto ne fosse estraneo. “Mio Dio, non sapevo …!”, dirà al termine di questa scena. E questo percorso di interiorizzazione del povero continuerà a svolgersi di quadro in quadro fino alla scena finale, nella quale finalmente appare il segreto della sua vita: una croce nuda stagliata sul muro della camera, dove riceve la piccola Figlia della Carità, che deve andare a trovare per la prima volta un povero. Questa sua esortazione finale alla suora è un capolavoro per la densità del pensiero che riassume tutta la passione caritativa della vita di san Vincenzo e merita di essere riportata.

Piccola Jeanne, ho voluto vederti. So che sei coraggiosa e buona. Tu domani andrai per la prima volta dai poveri. Non ho sempre potuto parlare a quelle che andavano dai poveri per la prima volta. Eh, non si fa mai quello che si dovrebbe! Ma a te, la giovane, l’ultima, devo parlare, perché è importante. Ricordati bene, ricordatelo sempre: tu vedrai presto che la carità è un fardello pesante, più pesante della pentola della minestra e del cesto del pane. Ma tu conserverai la tua dolcezza e il tuo sorriso. Non è tutto dare il brodo e il pane. Questo anche i ricchi possono farlo. Ma tu sei la piccola serva dei poveri, la Figlia della Carità, sempre sorridente e di buon umore. Essi sono i tuoi padroni, padroni terribilmente suscettibili ed esigenti, lo vedrai. Allora più saranno ripugnanti e sudici, più saranno ingiusti e rozzi, più tu dovrai dar loro il tuo amore. E sarà per questo tuo amore, per il tuo amore soltanto, che i poveri ti perdoneranno il pane che tu darai loro”.

Se ora osserviamo la narrazione filmica con lo sguardo critico dello storico, dobbiamo rilevare alcune licenze. Quella più evidente è che il film si è limitato a narrare, del carisma di san Vincenzo, solo l’aspetto socio-caritativo, tralasciando completamente quello dell’evangelizzazione. Sappiamo infatti che due furono gli orientamenti fondamentali dell’attività vincenziana: la missione e la carità, tra loro connessi. Ma evidentemente non si può chiedere ad un film la trascrizione biografica di una vita.

La seconda licenza storicamente infondata è la caratterizzazione negativa di Luisa de Marillac. In realtà Luisa fu il braccio destro nell’opera della carità di san Vincenzo e non la donna titubante e timorosa, come lascia intendere il film.  E’ vero che Luisa, nei primi tempi dell’incontro con san Vincenzo, è passata attraverso una profonda angoscia. Ma una volta accompagnata nell’esercizio della carità si è mostrata una donna coraggiosa che, in alcuni momenti delicati della nascita e della formazione delle Figlie della Carità, seppe prendere decisioni e persino forzare san Vincenzo, come avvenne nell’opera dei trovatelli.

Un altro elemento che potrebbe essere giudicato carente nel film, e in qualche modo in contrasto con l’esperienza di san Vincenzo, è l’assenza delle motivazioni religiose che lo hanno guidato nelle opere di carità. Storicamente infatti è la sua conversione religiosa che lo ha consegnato ai poveri. Tuttavia va detto che l’economia generale del film conserva il profondo pathos tipicamente evangelico e proprio di Gesù che si china amabilmente verso i deboli e gli emarginati. Potremmo anzi dire che, nella filigrana della sceneggiatura, emerge la tensione per la liberazione integrale della persona umana attraverso la carità, che “non è solo dare un pane a chi ha fame”, ma stare accanto ai poveri e condividerne la sofferenza secondo il comandamento evangelico.

Se volessimo riassumere in una parola la visione generale del film, potremmo dire che si tratta di un cammino di coscientizzazione di come la povertà umana possa trovare la soluzione del dramma che rappresenta: nella vicinanza solidale di altre persone che se ne facciano cari

I COLORI DELLA CARITA’ - Presentazione della mostra
di Angelo Loda, storico dell’arte e curatore della mostra

In occasione del 400° anniversario dell’inizio del carisma di missione e carità di San Vincenzo de’ Paoli, il Collegio Alberoni di Piacenza ha scelto di presentare al pubblico una mostra iconografica dedicata alla diffusione in Italia del culto e della devozione al grande santo francese.
Un’esposizione che è si è basata innanzitutto su un’approfondita ricerca del tutto nuova sul territorio italiano volta alla campionatura delle testimonianze iconografiche vincenziane oggi presenti e che ha portato ad una scelta ponderata di una trentina di dipinti fra quelli più significativi, sia sull’aspetto storico, che sul versante più propriamente stilistico.

Si è scelto di organizzare l’esposizione secondo una divisione articolata in tre sale distinte: la Sala degli Arazzi ove sono esposti i dipinti di grande formato, la sala detta Mazzolini coi ritratti del santo ed un ciclo di quattro ovali coi fatti della sua vita e quella intitolata Scribani Rossi in cui sono presentate una scelta di tele atte ad illustrare il carisma di Vincenzo e il suo rapporto con la santità e la serie di incisioni tratte da alcuni dipinti francesi che costituisce la più importante diffusione per stampa del racconto della vita del santo.

Attraverso i dipinti viene esaminata la progressiva elaborazione dell’iconografia vincenziana; se nel diciottesimo secolo si scelse di focalizzare la devozione dei fedeli sul ruolo di Vincenzo come predicatore alle genti, povere e ricche al contempo, nel secolo successivo prevalse la sua identificazione come apostolo della carità e dell’assistenza ai poveri e ai malati che contraddistinse tutto il suo percorso di vita e di fede.

Siamo invitati quindi a scoprire la vita e le opere del grande santo francese della Controriforma in un percorso affascinante accompagnati da alcuni dei più grandi artisti italiani del diciottesimo secolo da Sebastiano Conca ad Aureliano Milani, da Giuseppe Antonio Petrini a Vittorio Amedeo Rapous, da Pierfrancesco Guala a Francesco Vellani.

Ed accanto alle opere d’arte per meglio addentrarci nel mondo vincenziano sono esposti una serie di oggetti appartenuti al santo che vennero fortunosamente trasportati durante la rivoluzione francese a Torino, segni tangibili del suo magistero così attuale ancor oggi al servizio dei bisognosi.

Un’ultima sezione è dedicata al Novecento con la presentazione in video delle scene salienti del film Monsieur Vincent, di Maurice Cloche, presentato nel 1947, che ottenne l’Oscar quale miglior film straniero nel 1949, e la riproduzione di un affresco raffigurante San Vincenzo, Santa Luisa de Marillac e i trovatelli a Parigi, realizzato a Cagliari da Aurelio Galleppini, ideatore e disegnatore del fumetto Tex Willer. Accanto a essa una tavola vincenziana realizzata, appositamente per questa mostra, da Giovanni Freghieri, uno dei più importanti fumettisti italiani.

I COLORI DELLA CARITA’
Il senso della mostra
di Padre Erminio Antonello, Superiore del Collegio Alberoni

Tra Settecento e Novecento l’iconografia di san Vincenzo in Italia ha trasfigurato l’opera missionaria e caritativa di san Vincenzo alla luce della sua glorificazione proclamata dalla Chiesa nel 1729 (beatificazione) e nel 1737 (canonizzazione), di cui la celebre statua di Pietro Bracci (1754) in san Pietro è l’emblema.

La chiave di lettura dei dipinti su san Vincenzo di questa mostra è sostanzialmente celebrativa. E’ l’atmosfera culturale dell’epoca che lo richiede. La memoria del santo va esaltata e celebrata.

Nella sua concretezza però la realtà della carità è assai umile, sofferta, anzi drammatica. Con la carità san Vincenzo è entrato nei meandri più oscuri della miseria umana. Se l’è caricata sulle spalle. E scendendo nei labirinti dell’indigenza, egli ha potuto scorgere il mistero che travaglia l’uomo: di non potere esistere se non in forza di una relazione d’amore che un altro gli dona.

San Vincenzo ha percorso questa via e ha scoperto la strada per realizzare in se stesso e in coloro che lo hanno seguito la figura dell’agape, tradotta nel soccorso ai bisognosi.

I missionari che hanno patrocinato queste opere d’arte hanno creduto, come il loro fondatore, che in quegli scarti è possibile intravedere lo splendore dell’amore di Dio.

Questa è stata l’esperienza singolare di san Vincenzo; la genialità dei pittori che l’hanno esaltata ne è una debole traccia.

Non c’è quadro che non sprizzi la vitalità dell’amore gratuito che può spendersi per l’altro senza alcuna pretesa di ricambio. Le tele esposte sono un miscuglio di dolcezza e amabilità che provocano all’interrogazione: questa è la sfida vera di questa mostra.

Non un’operazione di semplice collezionismo da esteti, ma nel suo intento più sincero questa mostra vorrebbe riportarci a provare la sensibilità per la carità agapica, che è la trama feconda della vita, di cui san Vincenzo è stato un testimone acclamato, e che tanti artisti, tra Settecento e Novecento, hanno ritenuto degno di magnificare nelle loro tele.


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